Cortesia o estorsione?

Il caso

Un uomo viene accusato di essere un membro di un clan mafioso operante nel settore degli appalti e di essere responsabile di numerose estorsioni. 

Il Gip del Tribunale di Palermo ritiene consequenziale la misura coercitiva della custodia in carcere ma tale provvedimento viene annullato dallo stesso Tribunale di Palermo in funzione di giudice del riesame.

Secondo il Tribunale infatti vi è una “carenza di gravi indizi di colpevolezza” poiché i “dialoghi captati legittimano l’assunto che la persona indagata fosse stata esautorata dal sodalizio mafioso” ma non è “compiutamente definita la forma in cui sarebbero state poste in essere le ipotizzate pressioni in danno della vittima della tentata estorsione”. 

Il P.M. propone ricorso per cassazione avverso tale sentenza sottolineando “che il Tribunale non avrebbe considerato numerose captazioni che il P.M. aveva posto a fondamento della richiesta e che il G.I.P. aveva valorizzato” per dare solidità all’accusa di “associazione mafiosa ed estorsione”.

La Suprema Corte ritiene evidente “il perdurante ruolo ricoperto dall’uomo nell’ambito del sodalizio criminoso”. Dalle intercettazioni si denota che l’uomo ricopriva una carica di “persona di rispetto” capace di “ingerenze nel settore degli appalti”.

 Secondo i Giudici ciò conferma l’ipotesi accusatoria secondo cui “l’indagato ha svolto, all’interno del sodalizio, un ruolo attivo quanto al controllo ed alla ripartizione degli appalti”.

La Corte di Cassazione chiarisce che in tema di estorsioni “anche le richieste avanzate da un intermediario in termini di apparente cortesia, ma accompagnate da allusioni pur generiche ma comunque idonee, in un determinato contesto ambientale, ad ingenerare nella vittima il timore di rischi e pericoli inevitabili, in caso di mancata ottemperanza all’invito ricevuto, possono integrare il reato”.

Dal Palazzaccio ribadiscono che “non può dubitarsi che integri il delitto di estorsione la condotta consistente nella formulazione di minacce larvate od implicite, volte a far sì che la persona offesa rinunci ad intraprendere azioni legali oppure a coltivare azioni legali già intentate dal proprio dante causa”. 

Con la sentenza n. 8262/21 del 2 marzo la Corte di Cassazione accoglie il ricorso annullando l’ordinanza impugnata e rinviando per nuovo giudizio al Tribunale di Palermo.