Marito prende cellulare della moglie per cercare prove d’infedeltà

Il caso

Un uomo prendeva con violenza il telefono cellulare della moglie con l’intento di provare l’esistenza di un “rapporto clandestino” della donna dalla quale era peraltro separato.

La Corte d’Appello di Firenze confermava la sentenza rilasciata dal Tribunale di Pistoia e condannava l’uomo per i reati di rapina e lesioni ai danni della moglie.

Avverso tale provvedimento l’uomo propone ricorso per cassazione lamentando un vizio di motivazione e una violazione degli articoli 42,43, 44 e 628 c.p..

Secondo il legale dell’uomo infatti la sentenza individuava “l’ingiusto profitto nella volontà del marito di controllare il telefonino per provare traccia di un rapporto clandestino della moglie” senza però considerare il diritto dell’uomo di “ricercare le prove di un fatto relativo alla violazione del dovere civilistico di fedeltà legato al vincolo matrimoniale”.

Il difensore ricorda inoltre che molti giudici sostengono che “non si può parlare di violazione della riservatezza quando il marito e la moglie rovistano all’interno dello smartphone del coniuge, per cercare prove della eventuale infedeltà, poiché la convivenza genera una sorta di consenso tacito alla conoscenza delle comunicazioni anche personali del coniuge convivente”.

La Suprema Corte concorda con la decisione dei giudici di appello e ritiene inaccettabile “la tesi difensiva della liceità dell’impossessamento del telefono della moglie sulla base di una sorta di consenso tacito derivante dalla convivenza”.

Secondo la Cassazione “l’impossessamento del telefono contro la volontà della donna integra una condotta antigiuridica, e l’ingiusto profitto consiste nell’indebita intrusione nella sfera di riservatezza della vittima, con la conseguente violazione del diritto di autodeterminazione, che non ammette intrusione da parte di terzi e nemmeno del coniuge”.

I Giudici ribadiscono inoltre che nel caso di specie è legittimo parlare di rapina giacché “il profitto può concretarsi in ogni utilità, anche solo morale”.

Con la sentenza n. 8821/21 del 4 marzo la Corte di Cassazione dichiara il ricordo inammissibile.