Coltivazione “domestica” di canapa: caso in analisi

Il caso

Un uomo è stato accusato per aver coltivato 11 piantine di canapa nella sua abitazione e per essere stato trovato con alcune dosi di hashish. 

La Corte d’Appello di Roma ritiene che non sia configurabile il «reato di detenzione a fini di cessione di alcune dosi di sostanza stupefacente tipo hashish» e conferma la condanna per «coltivazione di undici piante di canapa, le cui foglie e infiorescenze risultavano del peso complessivo pari a oltre 16 grammi con principio attivo pari a 102 milligrammi, dal quale erano ricavabili, secondo i parametri tabellari, due dosi di sostanza stupefacente».

La pena dell’uomo viene ridimensionata a tre mesi di reclusione e al pagamento di 600 € di multa. 

Il legale dell’uomo propone ricorso per cassazione lamentando un’ “erronea applicazione della legge penale”. Secondo il difensore sarebbe corretto discutere sulla legittimità della condanna per la coltivazione di un numero così esiguo di piantine di canapa.

La Suprema Corte prima di procedere con l’analisi dei dettagli ricorda che è stata già fissata «una graduazione della risposta punitiva rispetto all’attività di coltivazione di piante stupefacenti, nelle sue diverse accezioni: a) devono considerarsi lecite la coltivazione domestica, a fine di autoconsumo per mancanza di tipicità, nonché la coltivazione industriale che, all’esito del completo processo di sviluppo delle piante non produca sostanza stupefacente, per mancanza di offensività in concreto; b) la detenzione di sostanza stupefacente esclusivamente destinata al consumo personale, anche se ottenuta attraverso una coltivazione domestica penalmente lecita, rimane soggetta al regime sanzionatorio amministrativo dell’art. 75 del d.P.R. n. 309/1990; c) alla coltivazione penalmente illecita restano comunque applicabili l’art. 131-bis c.p, qualora sussistano i presupposti per ritenerne la particolare tenuità, nonché, in via gradata, l’art. 73, comma 5, del d.P.R. n. 309/1990, qualora sussistano i presupposti per ritenere la minore gravità del fatto».

Secondo i Giudici nel caso di specie è logico parlare di “coltivazione domestica” in quanto si hanno in esame «piante coltivate in vasi, all’interno dell’abitazione, senza la predisposizione di particolari cautele per rafforzarne la produzione, quali la predisposizione di un impianto di irrigazione o di illuminazione; numero davvero modesto di piante (undici) che, in relazione al grado di sviluppo raggiunto, hanno consentito la estrazione di un quantitativo minimo di sostanze stupefacente ragionevolmente destinata all’uso personale».

Con la sentenza n. 6599/21 del 19 febbraio la Corte di Cassazione accoglie il ricorso annullando senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.