Coltivazione della marijuana ad uso personale

Il caso

Un uomo veniva processato per aver seminato e fatto crescere della marijuana nella sua abitazione. 

Con tecniche rudimentali era riuscito a coltivare due piantine dalle quali sarebbe stato possibile ricavare massimo 50 dosi droganti. 

La Corte d’Appello di Salerno concordava con la decisone del Tribunale di Nocera Inferiore catalogando il comportamento dell’uomo non punibile penalmente data la particolare tenuità del fatto.

L’imputato viene anche assolto “dal reato di detenzione di sostanza stupefacente dei tipi hashish e marijuana perché il fatto non sussiste”. 

Il difensore dell’uomo propone ricorso per cassazione chiedendo che la sentenza ai danni del suo assistito venga annullata, “deducendo violazione di legge e vizio della motivazione perché la coltivazione di piante di cannabis sativa per uso personale non costituisce reato”.

I Giudici ritengono decisivo che le sentenze di merito abbiano riconosciuto che la “condotta dell’uomo si è risolta in una coltivazione domestica destinata al suo uso personale, avente ad oggetto due sole piante di cannabis con produzione di quarantasette dosi droganti”.

Secondo la Suprema Corte vi sono tutti i presupposti per escludere “la tipicità della coltivazione penalmente rilevante” e di conseguenza ogni ipotesi di responsabilità penale.

Con la sentenza n.5626/21 del 12 febbraio la Corte di Cassazione annulla senza rinvio la sentenza impugnata applicando il principio secondo cui “non integra il reato di coltivazione di stupefacenti, per mancanza di tipicità, una condotta di coltivazione che, in assenza di significativi indici di un inserimento nel mercato illegale, denoti un nesso di immediatezza oggettiva con la destinazione esclusiva all’uso personale, perché svolta in forma domestica, utilizzando tecniche rudimentali e uno scarso numero di piante, da cui ricavare un modesto quantitativo di prodotto”.