Il caso
Un uomo dopo aver sottratto un orologio alla persona che gli doveva 80 euro viene accusato di essersi reso responsabile del reato di rapina.
La Corte d’Appello di Palermo, riformando parzialmente la sentenza pronunciata dal GIP del Tribunale di Trapani confermava la condanna in relazione al reato di cui all’art. 628 c.p per aver l’uomo sottratto dall’abitazione della persona offesa un orologio da 2000 euro usando violenza.
Avverso tale sentenza l’imputato ricorreva presso la Suprema Corte deducendo un’erronea attribuzione della responsabilità per il reato di rapina giacché aveva agito “al solo scopo di recuperare il proprio credito”.
Secondo il ricorrente i giudici di secondo grado non avrebbero tenuto giusto conto della pretesa creditoria vantata, circostanza che avrebbe rivelato l’assenza del dolo di rapina.
La Suprema Corte ritiene il ricorso inammissibile soprattutto in virtù di un’adeguata valorizzazione della “diversità della natura del credito affermato dall’imputato (80 euro) rispetto al bene sottratto con violenza (2000 euro)”
A tal riguardo le SS.UU avevano già ribadito che “ai fini dell’integrazione del delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, la pretesa arbitrariamente coltivata dall’agente deve corrispondere esattamente all’oggetto della tutela apprestata in concreto dall’ordinamento giuridico, e non risultare in qualsiasi modo più ampia, atteso che ciò che caratterizza il reato in questione è la sostituzione, operata dall’agente, dello strumento di tutela pubblico con quello privato, e l’agente deve, quindi, essere animato dal fine di esercitare un diritto con la coscienza che l’oggetto della pretesa gli possa competere giuridicamente”.
Con la sentenza n. 26139/21 dell’8 luglio la Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.