Bambino nato affetto da Sindrome di Down: respinta la richiesta di risarcimento dei neogenitori in assenza della loro manifesta volontà di ricorrere all’aborto

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Il caso

Due neogenitori di un bambino nato affetto da Sindrome di Down agivano in giudizio nei confronti della clinica che aveva seguito la neomamma per il parto chiedendo il risarcimento dei danni per non aver la struttura informato la coppia «della possibilità di effettuare un’amniocentesi o un altro esame in grado di individuare la malattia» e di «non avere prescritto ed effettuato esami diagnostici durante le prime tre settimane di gravidanza, consigliate per le gestanti di età avanzata ed utili ad individuare la malattia di cui era affetto il feto».

La richiesta è stata respinta in primo e secondo grado. 

In particolare i giudici d’Appello hanno rigettato il gravame «sul presupposto che una indagine, fatta nelle prime settimane, non avrebbe consentito di individuare la trisomia ed il morbo di cui era afflitto il feto, secondo quanto stabilito dal CTU, e che, quanto al consenso informato, non v’era prova della volontà di abortire in caso di accertata malformazione».

Avverso tale sentenza ricorrono presso la Suprema Corte i neogenitori.

I Giudici ritengono inammissibili i motivi di ricorso.

Importante ribadire che, come affermato dal consulente tecnico d’ufficio, «neanche dall’esame morfologico eseguito alla diciannovesima settimana era dato evincere la malformazione» del feto. 

Secondo la Suprema Corte i giudici di merito hanno fatto una corretta applicazione della regola stabilita dalle Sezioni Unite secondo cui «chi agisce deve dare prova che la gestante, se adeguatamente informata, avrebbe deciso, ricorrendone i presupposti, l’interruzione della gravidanza e che tale prova che può essere ricavata anche mediante presunzioni (Cass. Sez. Un. 25767/ 2015)». 

Nella vicenda di specie una prova simile non è stata fornita, ed anzi, «la circostanza non sarebbe stata neanche allegata, nel senso che le parti non hanno neanche fatto cenno alla possibilità di abortire in caso di accertata malformazione».

Con la sentenza n. 36645\21 del 25 novembre la Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese processuali.