Il caso
Il 10 settembre 2018 un uomo si era recato presso l’abitazione di una sua ex e si era limitato a citofonare due volte proferendo poche e brevi frasi. Dopo che egli aveva citofonato una prima volta e aveva detto “sono io amore mio, scendi” la donna aveva immediatamente richiesto l’intervento delle forze dell’ordine. Dopo poco tempo, credendo che fossero sopraggiunti i Carabinieri ella si era recata a rispondere nuovamente al citofono e aveva avuto modo di sentire la seconda frase dell’uomo “sono…, dammi una possibilità, dai ti prego fammi parlare”.
Giunte sul luogo le forze dell’ordine potevano verificare la presenza in loco dell’uomo e “lo stato di forte agitazione della donna (che piangeva)”.
Il Tribunale di Caltanissetta accertava la responsabilità dell’ uomo per il reato aggravato di atti persecutori, “limitatamente alle condotte poste in essere il 10 settembre 2018”.
La Corte di Appello di Caltanissetta riformava “la decisione di primo grado, ritenendo che il fatto per cui era stata resa condanna fosse stato posto in essere in esecuzione del medesimo disegno criminoso sotteso ai fatti” per cui l’uomo “aveva già riportato condanna irrevocabile (giusta sentenza della stessa Corte territoriale del 9 gennaio 2018) e rideterminato la pena inflitta”.
Avverso la sentenza di appello l’imputato proponeva ricorso per cassazione lamentando tra i vari motivi l’ “erronea applicazione della legge penale” in quanto nel caso di specie “la condotta per cui egli è stato condannato sarebbe unica e non reiterata
e non potrebbe essere perciò sussunta nel precetto penale in contestazione”.
La Suprema Corte ritiene che “la condotta posta in essere dall’imputato non integri il delitto di atti persecutori poiché essa non sarebbe reiterata”.
I Giudici hanno già chiarito che “in tema di atti persecutori, nel caso in cui un soggetto sia stato già condannato per tale delitto, gli atti successivi possono essere collegati a quelli precedenti, ai sensi dell’art. 81 c.p., solo nel caso in cui diano vita ad un reato completo in tutti i suoi elementi, ossia ad una serie di condotte da cui consegue uno degli eventi di cui all’art. 612-bis c.p. e ciò in quanto il delitto in questione, avendo natura di reato necessariamente abituale, non è configurabile nel caso di un’unica, per quanto grave, condotta di molestia e minaccia”.
La Cassazione sottolinea che “integrano il delitto di atti persecutori di cui all’art. 612-bis c.p. anche due sole condotte di minacce, molestie o lesioni, pur se commesse in un breve arco di tempo, idonee a costituire la ‘reiterazione’ richiesta dalla norma incriminatrice, non essendo invece necessario che gli atti persecutori si manifestino in una prolungata sequenza temporale” e che “è configurabile il delitto di atti persecutori anche quando le singole condotte sono reiterate in un arco di tempo molto ristretto, a condizione che si tratti di atti autonomi e che la reiterazione di questi, pur concentrata in un brevissimo arco temporale, sia la causa effettiva di uno degli eventi considerati dalla norma incriminatrice”.
Con la sentenza n. 12041/21 del 30 marzo la Suprema Corte revoca le statuizioni civili e annulla senza rinvio la sentenza impugnata, perché il fatto non sussiste.