Il caso
Un uomo veniva accusato dalla nuora di aver abbandonato in campagna il cane meticcio che lei gli aveva affidato in custodia per qualche giorno.
L’animale, provvisto di regolare microchip, veniva ritrovato morto dalla donna dopo quattro giorni di ricerca dalla scoperta della sua sparizione.
Il Tribunale di Brindisi condannava l’uomo per il reato di abbandono di animale ma avverso tale sentenza l’imputato presentava un atto di appello riqualificato come ricorso per cassazione.
Egli sosteneva di aver “portato il cane fuori per una passeggiata”, “che l’animale era sfuggito al suo controllo” e che la versione della nuora era inattendibile “per gli screzi che aveva avuto con il figlio”.
Secondo la Suprema Corte, i fatti esposti dalla nuora nella denuncia-querela, “apparivano connotati da linearità, coerenza e plausibilità, a differenza delle dichiarazioni dell’imputato”.
La donna, “dopo aver descritto i rapporti tesi con il suocero, aveva infatti raccontato che l’uomo si era dichiarato disponibile, nonostante tutto, a custodire la cagnetta, ma il giorno in cui l’aveva chiesta indietro aveva risposto che era scappata. Quindi lei l’aveva cercata per quattro giorni e poi l’aveva trovata morta. Alla notizia lui le aveva riso in faccia”.
Non credibile invece, secondo i Giudici di terzo grado, l’imputato, “dal momento che era caduto in contraddizione dicendo prima che l’animale era intestato al figliastro e poi alla nuora che l’aveva denunciato per non incorrere in responsabilità a causa della scomparsa dell’animale. Tale circostanza non era stata ritenuta credibile perché, per andare esenti da responsabilità, bastava dichiarare che la cagnetta era sfuggita alla custodia del suocero”.
Con la sentenza n. 15672/21 del 27 aprile la Corte di Cassazione dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.