Il caso
Un avvocato di Bari in una segnalazione disciplinare aveva accusato un altro avvocato di aver “toccato il fondo con argomenti infantili”, di avere “tenuto un comportamento lesivo dell’integrità professionale”, e di “non rispettare le basilari regole di vita, ancor prima che giuridiche”.
L’avvocato “offeso” da tali frasi chiede in Tribunale che venga riconosciuto il reato di diffamazione.
Secondo il Giudice di Pace di Bari il collega aveva espresso il suo diritto di critica senza diffamarlo.
La parte civile propone allora ricorso per cassazione chiedendo una corretta applicazione dell’art. 595 c.p..
La Suprema Corte ricorda che il diritto di critica è contemplato dall’art. 21 Cost. e dall’art. 10 CEDU e in quanto tale può essere evocato quale scriminante per il reato di diffamazione.
Tenuto conto di ciò è importante notare che le critiche poste dall’avvocato riguardano fatti giustificati da eventi oggettivi.
Secondo i Giudici le frasi prese in considerazione erano rivolte ed attinenti solo all’operato professionale dell’avvocato e non erano delle mere offese gratuite.
Con la sentenza n. 61/21 del 4 gennaio la Suprema Corte dichiara il ricorso inammissibile E condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di 3000 € in favore della Cassa delle Ammende.