Il caso
L’assurda vicenda si è svolta in Puglia dove una mamma «si è introdotta nella scuola in orario non previsto, utilizzando una porta secondaria, e ha prelevato il figlio senza alcuna comunicazione ed autorizzazione». Con il proprio comportamento ha creato così tanto scompiglio da mobilitare per qualche minuto docenti e alunni nella ricerca dell’allievo scomparso.
I Giudici di merito ritengono legittima la condanna della madre in quanto l’interruzione della didattica è condannabile in quanto interruzione di pubblico servizio.
Il legale della madre contesta l’accusa affermando che non vi è stata «un’ incidenza del comportamento» della sua cliente «sul funzionamento dell’ufficio nel suo complesso, che nella specie ha regolarmente continuato a funzionare». Continua ipotizzando la non apprezzabilità della valutazione dell’ ”interruzione” in quanto non è stato chiarito in maniera esatta il numero di alunni e insegnanti coinvolti nella vicenda specifica all’interno del tumulto generale. Il legale aggiunge come illogico anche il richiamo al «dolo eventuale» della sua cliente che «sapeva che il figlio che si era recata a prelevare era in segreteria con l’operatore scolastico e non in classe».
Il difensore della madre infine ritiene plausibile «il riconoscimento della particolare tenuità del fatto, essendosi in presenza di una condotta episodica, del resto dimostrata dallo stato di incensuratezza» e «sicuramente esigua, in considerazione del breve lasso temporale interessato».
La linea difensiva non convince però i Giudici della Cassazione poiché il reato previsto dal Codice Penale si concretizza quando «la condotta, pur non determinando l’interruzione o il turbamento del pubblico servizio inteso nella sua totalità, comporta comunque la compromissione del regolare svolgimento di una parte di esso», posto che va tutelato «non solo l’effettivo funzionamento di un ufficio o servizio pubblico, ma anche il suo ordinato e regolare svolgimento».
Risulta inoltre evidente ai Giudici la consapevolezza della madre di aver tenuto «una volontaria condotta trasgressiva», difatti accettando quindi le possibili conseguenze e assumendone pienamente il relativo rischio.
Infine è da escludersi l’ipotesi difensiva della «non punibilità» giacché «non era la prima volta che ella travalicava le regole di comportamento in quel contesto scolastico, essendo più volte accaduto che la ricorrente attaccasse, minacciasse, aggredisse, ingiuriasse ed offendesse insegnanti ed operatori per un malinteso senso di difesa del figlio, che ripetutamente assumeva comportamenti intemperanti, aggressivi e violenti sia nei confronti dei propri compagni che degli insegnanti»