Passante perquisito e derubato da finto poliziotto: truffa o rapina?

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Il caso

Finto agente perquisisce e deruba un passante.

La Corte d’Appello di Venezia concordando con il Tribunale di Vicenza condannava l’uomo per i reati di rapina con l’utilizzo di falsi segni distintivi in esclusivo delle forze dell’ordine.

Avverso tale sentenza proponeva ricorso preso la Suprema Corte l’imputato, a mezzo del proprio difensore di fiducia, lamentando tra gli altri motivi la mancata derubricazione dell’ipotesi di rapina nel meno grave delitto di truffa.

Secondo il legale il ricorrente non avrebbe infatti posto in essere alcun comportamento volto ad intimorire la persona offesa.

I Giudici di terzo grado ritengono i motivi di ricorso manifestamente infondati e concordano con i giudici di secondo grado che giustamente hanno sottolineato “come l’imputato avesse agito indossando una apparente divisa costituita da giubbotto e pantaloni scuri, oltre che cappello di ordinanza e ricetrasmittente, così proprio integrando l’ipotesi del possesso di segni distintivi contraffatti”.

Tale travestimento avrebbe favorito il rapinatore nell’azione di trarre in inganno la persona offesa ed è irrilevante secondo la Suprema Corte la non perfetta “rispondenza con gli oggetti e i dispositivi in uso alle forze dell’ordine”. 

Giustificata la configurazione del reato di rapina “avendo l’imputato sottoposto la vittima ad atti di perquisizione illegale ed ingenerato timore nella stessa estraendo un’arma che esibiva in direzione della medesima”. 

Impossibile parlare del meno grave delitto di truffa giacché il timore “ingenerato dalla visione dell’arma e dalla illegittima perquisizione personale” ha costretto la persona offesa a consegnare il denaro al ricorrente. 

Con la sentenza n. 42493/21 del 19 novembre la Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.