Secondo una recentissima sentenza della Corte di Cassazione (sent. n.14467 del 24/03/2017) integra il reato di “getto pericoloso di cose” il comportamento di chi emette odori da cucina che superino la normale soglia di tollerabilità. Il codice penale punisce infatti all’art. 674 c.p. con l’arresto fino a 1 mese e con l’ammenda fino a 206 euro, chiunque getta o versa in un luogo di pubblico transito o in un luogo privato ma di comune o di altrui uso, cose atte a offendere o imbrattare o molestare persone; oppure, nei casi non consentiti dalla legge, provoca emissioni di gas, di vapori o di fumo, atti a cagionare tali effetti. L’odore di frittura, secondo i giudici di Piazza Cavour, rientra a tutti gli effetti in tali emissioni olfattive vietate dalla legge, a condizione che costituiscano una «molestia contro le persone».
Per molestare le persone, infatti l’odore deve essere «superiore alla normale tollerabilità». Un giudizio, quest’ultimo, che spetta al giudice, sulla base dell’entità dell’odore e della sua capacità di penetrazione nell’appartamento. Se, ad esempio, anche con le finestre chiuse l’odore è in grado di raggiungere l’interno, non c’è dubbio che si tratta di un disturbo intollerabile, tale da giustificare il ricorso al giudice. Diverso il caso dei cattivi odori che solo nelle ore dei pasti raggiungono i piani alti, ma che, grazie alla chiusura delle finestra, non possono essere percepiti.
L’importanza della sentenza in commento risiede nell’aver chiarito che, nel reato di getto pericoloso di cose, sono ricomprese anche le emissioni di odori da cucina che superano una certa soglia di tollerabilità. Secondo la Cassazione, la contravvenzione è configurabile nel caso di «molestie olfattive» generate da privati e non solo da attività commerciali, industriali o da locali di ristorazione.
Fra l’altro, per stabilire il superamento del «limite della stretta tollerabilità» non esiste una normativa ad hoc, non sono fissati dei limiti di legge delle emissioni. Bisogna allora riferirsi al codice civile (art. 844 c.c.), il quale consente al giudice di fondare il suo convincimento sugli elementi probatori a disposizione, senza dover necessariamente ricorrere ad una perizia tecnica, potendo anche avvalersi della testimonianza dei vicini di casa.