Decreto Rilancio 2: nuovo termine mobile per il divieto di licenziamento

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Il D.L. n. 104 del 2020 interviene sul tema del divieto di licenziamento, prevedendo un termine mobile che deve tener conto di un nuovo periodo di ammortizzatori sociali e di un’agevolazione contributiva, entrambi fruibili entro il 31 dicembre c.a.

Più nel dettaglio, dalla combinata lettura degli artt. 1, 3 e 14 del predetto decreto, si evince che è stato introdotto un nuovo periodo di ammortizzatori sociali da utilizzare entro il 31 dicembre 2020 per un totale di 18 settimane, ed una agevolazione contributiva per un periodo massimo di 4 mesi spendibili entro la stessa data per i datori di lavoro che non utilizzeranno il nuovo periodo di ammortizzatori sociali. Ne deriva che, fermo il limite ultimo del 31 dicembre, i datori di lavoro potranno avviare procedure di licenziamento collettivo (artt. 4, 5, 24 Legge n. 223/1991) e intimare licenziamenti per giustificato motivo oggettivo solo dopo aver concluso il periodo di ammortizzatori sociali previsti dall’art. 1 o soltanto dopo aver fruito dell’agevolazione contributiva prevista dall’art. 3.

Sulla base di quanto sin qui disposto, pertanto, in considerazione dei due diversi termini di riferimento ancorati rispettivamente alle due diverse norme, il primo giorno utile per procedere con licenziamenti per giustificato motivo oggettivo potrebbe essere sensibilmente diverso. L’agevolazione contributiva di cui all’art. 3, infatti, è pari al doppio delle ore di integrazione salariale già fruite nei mesi di maggio e giugno. Un’impresa che avesse adoperato poche ore di cassa integrazione nei mesi di maggio e giugno (ad esempio, due settimane) trascorso solo un mese dal 17 agosto, potrebbe procedere a licenziamenti per giustificato motivo oggettivo ex art. 3 della legge n. 604/1966.

Le complessità di natura applicativa risultano aggravate, inoltre, dalle difficoltà ermeneutiche risultanti dalla formulazione del II dell’art. 3, il quale dispone che :“(… )al datore di lavoro che abbia beneficiato dell’esonero di cui al comma 1, si applicano i divieti di cui all’articolo 14 del presente decreto ”. La norma così enunciata sembrerebbe creare una sorta di corto circuito giuridico che potrebbe indurre a ritenere operante una sorta di definitività del divieto di licenziamento una volta che il datore di lavoro abbia optato per la soluzione dell’esonero contributivo.

Una lettura sistematica della norma consente, invero, di rigettare tale tipo di conclusione interpretativa, la quale condurrebbe non solo a creare una fattispecie di divieto di licenziamento sine die palesemente incostituzionale ma anche non apparirebbe conforme all’impianto previsto dalla norma, la quale, invece, intende chiaramente vincolare il divieto di licenziamento alla durata delle misure straordinarie introdotte dal Governo.

A ciò si aggiunga che è proprio il comma 3 dell’art. 14 ad introdurre alcune deroghe al divieto di licenziamento:

  • Cessazione definitiva dell’attività dell’impresa, con messa in liquidazione della società. La chiusura di una unità produttiva di per sé non porta alla sospensione del blocco.
  • Accordo collettivo aziendale: è questa una ipotesi nella quale sarà possibile procedere ad una riduzione di personale se verrà raggiunto un accordo con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, con un incentivo alla risoluzione del rapporto per i dipendenti che aderiscono ai quali viene riconosciuto il diritto alla NASPI, pur trattandosi di una risoluzione consensuale. Una difficoltà operativa della norma è il riferimento ai soli accordi con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale, sembrerebbero pertanto escluse le articolazioni territoriali o aziendali (RSA o RSU).
  • Fallimento senza alcun esercizio provvisorio dell’attività, con cessazione totale della stessa. Nel caso in cui sia stato disposto l’esercizio provvisorio dell’attività da parte di un ramo dell’azienda, resteranno esclusi i settori non compresi nel fallimento.