Diritto di avvicinarsi alla morte ad occhi aperti

Il colpevole ritardo nella diagnosi di patologia ad esito infausto determina il danno derivante dalla perdita di un “ventaglio” di opzioni, con le quali affrontare la prospettiva della fine ormai prossima. Con riferimento a fattispecie di omessa tempestiva diagnosi di patologie oncologiche ad esito, la Suprema Corte aveva già indicato che fosse errato affermare che la condotta omissiva non incida sulla qualità di vita del paziente. Infatti, una simile affermazione non tiene conto della possibilità che (nel lasso di tempo intercorso tra la diagnosi errata e quella esatta), nel paziente perdura il suo stato di sofferenza fisica senza che ad esso possa essere apportato un qualche pur minimo beneficio a causa della diagnosi errata (Cass. Sez. 3, sent. 18 settembre 2008, n. 23846).

Inoltre, da una diagnosi esatta di una malattia ad esito ineluttabilmente infausto, consegue che il paziente, oltre ad essere messo nelle condizioni per scegliere (se possibilità di scelta vi sia) “che fare», deve anche essere messo in condizione di programmare l’esplicazione delle sue attitudini psico-fisiche nelle quali quell’essere si esprime, in vista di quell’esito” (Cass. Sez. 3, sent. 18 settembre 2008, n. 23846). Questa facoltà di scegliere come affrontare l’ultimo tratto del proprio percorso, è una situazione meritevole di tutela “al di là di qualunque considerazione soggettiva sul valore, la rilevanza o la dignità, degli eventuali possibili contenuti di tale scelta” (Cass. Sez. 3, ord. n. 7260 del 2018). 

Pertanto, in presenza di colpevoli ritardi nella diagnosi, l’area dei danni risarcibili non si esaurisce nel pregiudizio recato alla integrità fisica del paziente (privato, in ipotesi, della possibilità di guarigione o, in alternativa, di una più prolungata – e qualitativamente migliore – esistenza fino all’esito fatale), ma include la perdita di un “ventaglio” di opzioni, con le quali affrontare la prospettiva della fine ormai prossima, o meglio “non solo l’eventuale scelta di procedere -in tempi più celeri possibili – all’attivazione di una strategia terapeutica, o la determinazione per la possibile ricerca di alternative d’indole meramente palliativa, ma anche la stessa decisione di vivere le ultime fasi della propria vita nella cosciente e consapevole accettazione della sofferenza e del dolore fisico (senza ricorrere all’ausilio di alcun intervento medico) in attesa della fine, giacché, tutte queste scelte appartengono, ciascuna con il proprio valore e la propria dignità, al novero delle alternative esistenziali” (Cass. Sez. 3, ord. n. 7260 del 2018).