Niente responsabilità medica a fronte di situazioni gravi ed imprevedibili

Tribunale di Roma, sentenza del 17.11.2014

Non sussiste responsabilità medica anche se dall’intervento sia conseguita, quale complicanza, l’insorgenza di disfunzione erettile, qualora l’intervento medesimo si sia reso necessario per salvare la vita del paziente.
Né la carenza od incompletezza relativa al “consenso informato”, vale ad affermare tale responsabilità, in quanto, anche in presenza di un’adeguata informazione, il paziente avrebbe senz’altro acconsentito all’esecuzione di un intervento salvavita.E’ quanto ha affermato il Tribunale di Roma con sentenza del 17 novembre 2014, respingendo la richiesta di risarcimento avanzata da un paziente, per le complicanze, consistenti in impotenza sessuale, insorte a seguito di intervento d’urgenza per il trattamento di aneurisma addominale.
Ha sostenuto in proposito il Tribunale, come dalla documentazione in atti ed in particolar modo dalla relazione del CTU, sia emersa, viste le condizioni del paziente, l’assoluta necessità dell’intervento in questione, volto ad evitare conseguenze con alta probabilità di morte.
L’intervento, pertanto, si sarebbe prospettato quale unica soluzione al momento plausibile. Ha poi sottolineato il Tribunale in merito all’esecuzione del trattamento, come lo stesso sia stato eseguito – stando alle relazioni peritali – conformemente alle metodiche medico – chirurgiche stabilite dalla prassi operatoria.
Non è stato rilevato dunque alcun elemento di negligenza ed imperizia nell’operato dei sanitari ed anche le complicanze determinatesi, tra l’altro generiche e prospettabili, sono state pienamente riconosciute ed adeguatamente trattate.
Quanto alla presunta carenza ed incompletezza del consenso informato, il Tribunale ha sottolineato come, nel caso di specie, sia stata sufficientemente esplicativa l’informazione relativa alle complicanze, mentre effettivamente poco circostanziata quella relativa alle condizioni specifiche del paziente.
Purtuttavia, è ormai noto, ha proseguito il Tribunale, come il diritto ad un’adeguata informazione possa assurgere a titolo risarcitorio in presenza di un intervento correttamente eseguito, solo allorché risulti, per via indiziaria, la prova che il paziente, pur se adeguatamente informato, si sarebbe opposto all’intervento.
Ed è evidente che nel caso di specie, considerate le condizioni di rischio, non vi sarebbe stato alcun rifiuto, ad un intervento salvavita.

Corte di Cassazione, sentenza n. 26357 del 16.12.2014

E’ esclusa la responsabilità del ginecologo che ha provocato un danno al neonato, se durante il parto si è trovato ad affrontare una situazione grave ed imprevedibile, ove si è reso necessario agire tempestivamente.
Tale principio è stato enunciato dalla Suprema Corte con la sentenza n. 26357 del 16 dicembre 2014, relativa ad una vicenda di presunto errore medico ai danni di un neonato, per particolari difficoltà emerse durante il parto.
Secondo i ricorrenti, la manovra compiuta dal ginecologo, necessaria ed urgente per favorire il disimpegno della spalla del neonato, non era stata in realtà eseguita a regola d’arte, avendo determinato l’interruzione completa delle fibre nervose.
Ne conseguiva – a detta degli stessi – che, nel caso di specie, non risultasse applicabile la c.d. “esimente” di cui all’art. 2336 c.c. per la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, in quanto essa attiene esclusivamente alla perizia, non anche alla negligenza ed imprudenza, ravvisabili nella presente condotta medica.
La Cassazione viceversa, a conferma della pronuncia della Corte d’Appello, è pervenuta all’esclusione della responsabilità del medico, poiché lo stesso si era trovato ad affrontare una situazione grave ed imprevedibile ove si era reso necessario agire immediatamente per evitare la morte o danni gravissimi al neonato ed in particolare, agevolare l’espulsione del feto nel minor tempo possibile.
Il medico infatti, aveva fornito la prova che la prestazione sanitaria fosse stata eseguita in condizioni di speciale difficoltà e di aver agito tenendo un comportamento diligente, conforme ai dettami della scienza medica dell’epoca.
Pertanto, proprio in applicazione dell’art. 2236 c.c., egli risultava esente da colpa grave o da dolo.