Il Gip può aprire le indagini con decreto motivato

Corte costituzionale sentenza 9/07/2015 n. 139

La Corte costituzionale, sentenza 139/2015, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 517 del codice di procedura penale, nella parte in cui, nel caso di contestazione di una circostanza aggravante che già risultava dagli atti di indagine al momento dell’esercizio dell’azione penale, non prevede la facoltà dell’imputato di richiedere al giudice del dibattimento il giudizio abbreviato relativamente al reato oggetto della nuova contestazione.

La questione dunque ancora una volta riguardava la legittimità costituzionale della preclusione all’accesso ai riti alternativi a contenuto premiale in cui l’imputato incorre di fronte alle nuove contestazioni dibattimentali: preclusione conseguente al fatto che la nuova contestazione interviene quando il termine ultimo per la formulazione della richiesta del rito alternativo (individuato attualmente dagli artt. 438, comma 2, 446, comma 1, e 555, comma 2, cod. proc. pen.) è ormai spirato. In particolare, le doglianze dei rimettenti, i tribunali ordinari di Lecce e di Padova, osserva la sentenza, «attengono alla mancata previsione del recupero della facoltà di accesso al giudizio abbreviato in presenza di contestazioni suppletive cosiddette “tardive” o “patologiche”, basate, cioè, non sulle nuove risultanze dell’istruzione dibattimentale, ma su elementi che già emergevano dagli atti di indagine al momento dell’esercizio dell’azione penale e dunque volte, nella sostanza, a porre rimedio a incompletezze o errori del pubblico ministero nella formulazione originaria dell’imputazione: contestazioni ritenute ammissibili dalla consolidata giurisprudenza di legittimità».

Il giudice delle leggi ha invece dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale del medesimo art. 517 del codice di procedura penale nella parte in cui, nel caso di contestazione di un reato concorrente o di circostanza aggravante che già risultava dagli atti di indagine al momento dell’esercizio dell’azione penale, non prevede la facoltà dell’imputato di richiedere al giudice del dibattimento il giudizio abbreviato anche in relazione ai reati diversi da quello che forma oggetto della nuova contestazione, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Lecce con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Corte di Cassazione II Sez. Penale sentenza 09/04/2015 n.14112

La messa alla prova non può essere solo parziale. E riguardare perciò solo alcuni dei reati per i quali si procede. In caso contrario a venire compromessa sarebbe la funzioni risocializzante della misura. La Cassazione, di fronte alle osservazioni della difesa, contraria alla decisione del Gip di Palermo, per quale la sospensione del processo per messa alla prova non è possibile solo per alcuni reati, ha sottolineato innanzitutto che la disciplina della messa alla prova non prevede un diritto assoluto per l’imputato di accesso all’istituto, sebbene sia indiscutibile che lo spirito della misura sta nel riconoscimento agli imputati della possibilità di procedere a una risocializzazione attraverso un procedimento di rieducazione. Esiste infatti sempre un potere valutativo del giudice con riferimento alla situazione processuale dell’imputato e a quella processuale. Infatti, ricorda ancora la Corte, la concessione del beneficio ha come logico presupposto un giudizio positivo sulle possibilità di successo della rieducazione dell’interessato, «per la cui formulazione non può prescindersi dal tipo di reato commesso, dalle modalità di attuazione dello stesso, e dai motivi a delinquere», con l’obiettivo di valutare se il fatto contestato deve essere considerato un episodio del tutto occasione e non invece una “spia” di un intero sistema di vita, tale da fare escludere una considerazione positiva sull’evoluzione della personalità dell’imputato.

Corte di Cassazione, sentenza n. 12400 del 28.03.2011

La Corte di Cassazione con la sentenza in esame ha precisato che la deroga al regime di retroattività delle norme che riducono i termini di prescrizione è possibile solo nel rispetto dell’efficenza del processo. La Corte di Cassazione fa chiarezza sulla possibilità di applicare la legge penale più favorevole e in particolare le norme che riguardano la retroattività della prescrizione più breve, prevista dalla legge 251 del 2005, per i processi pendenti in appello o in Cassazione. Gli ermellini sottolineano che l’applicazione dipende dallo stadio di avanzamento dei processi. La ratio del legislatore è stata, infatti, “quella di non vanificare le attività processuali già compiute e cristallizzate, al momento dell’entrata in vigore delle norme, secondo cadenze calcolate in base ai tempi di prescizione più lunghi vigenti all’atto del loro compimento e di tutelare così interessi di rilievo costituzionale sottesi al processo, come la sua efficienza e la salvaguardia dei diritti dei destinatari della funzione giurisdizionale”.
I giudici di piazza Cavour affermano che il criterio del rispetto dell’efficienza del processo è in linea sia con l’articolo 117 della Costituzione sia con l’articolo 7 della Convenzione europea dei diritti dell’Uomo. La Cedu ammette, infatti, la deroga al principio della retroattiviotà della disposizione più favorevole all’imputato in nome di esigenze che meritano pari tutela e che hanno pari rilievo. Come nel caso di un avanzato stadio del processo.

Corte di Cassazione, sentenza n. 40451 del 15.11.2010

La Corte di Cassazione con la sentenza in esame ha precisato che l’omessa notifica al difensore di un avviso perché lo studio era chiuso non può comportare una sanzione processuale, impedendo all’avvocato di svolgere la sua funzione di assistenza tecnica all’imputato. Si tratta di un’omissione non più addebitabile all’avvocato che non avrebbe adempiuto all’obbligo di assicurare la ricevibilità delle notifiche. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione nella sentenza in oggetto, accogliendo il ricorso dell’avvocato difensore di due minorenni straniere accusate di furto. Il legale impugnava il provvedimento di convalida del loro arresto, lamentandosi che il Tribunale non aveva preso in considerazione una memoria inviata a mezzo fax in cui denunciava un’irregolarità processuale. L’avvocato sottolineava di non aver ricevuto l’avviso della data di fissazione dell’udienza camerale. L’ufficiale giudiziario incaricato infatti, aveva tentato l’accesso al suo studio legale e, non trovandovi nessuno, aveva lasciato avviso di deposito nella Casa comunale, senza però darne comunicazione tramite raccomandata con ricevuta di ritorno. I giudici della quinta sezione penale hanno dato ragione al difensore, ribaltando alcune recenti pronunce della Suprema Corte secondo cui incomberebbe al “difensore l’onere di tenere a disposizione, presso il proprio recapito, persona adeguata, ovvero apprestare comunque mezzi idonei alla ricezione degli avvisi e delle notifiche, di cui la legge prevede l’urgenza”. Con quest’ultima decisione Piazza Cavour offre un’interpretazione più favorevole agli avvocati, sconfessando il precedente orientamento considerato troppo restrittivo. D’ora in avanti quindi “sussiste inosservanza delle norme processuali qualora l’avviso al difensore della data di fissazione dell’udienza camerale depositato nella Casa comunale dall’ufficiale giudiziario che non ha rinvenuto alcuno nell’ufficio legale del medesimo, non sia stato comunicato, a norma dell’art. 157 co. 8 c.p.p., dell’avvenuto deposito nella casa comunale dell’atto, a mezzo lettera raccomandata, con avviso di ricevimento. Si tratta di una nullità che non può considerarsi sanata in quanto omissione di notifica al difensore del decreto di fissazione dell’udienza camerale, addebitabile non all’ufficio procedente, ma al difensore che non ha adempito all’obbligo di assicurare, con la necessaria diligenza, la ricevibilità delle notifiche.”

Corte di Cassazione, sentenza n. 38474 del 2.11.2010

Non c’è violazione del diritto di difesa se, in presenza di una richiesta di differimento per concomitanti impegni professionali del difensore, il Tribunale rinvia la trattazione del processo durante l’udienza dibattimentale senza svolgere alcuna attività istruttoria. Infatti, il diritto di difesa è violato solo se viene svolta attività dibattimentale che incide sul processo finale. Inoltre la Cancelleria non è tenuta comunicare la nuova data dell’udienza all’avvocato della parte. Lo ha affermato la Corte di Cassazione nella sentenza 38474 di oggi, respingendo il ricorso di un uomo condannato per rapina aggravata e lesioni personali. L’imputato, tramite i suoi legali, impugnava la condanna per inosservanza di norme processuali e invocando la nullità assoluta derivante dal mancato esame della richiesta di differimento dell’udienza dibattimentale, presentata dal suo avvocato per concomitanti impegni professionali. Il Tribunale aveva invece deciso il rinvio esclusivamente per l’assenza dei testimoni e la conseguente impossibilità di svolgere l’attività istruttoria e non aveva comunicato la nuova data dell’udienza. I giudici della seconda sezione penale hanno avallato l’operato dei giudici di merito e condiviso la tesi per cui “è escluso che l’incombenza di comunicare la data fissata per la nuova udienza dibattimentale sia da ricondurre ad uno specifico onere della cancelleria”. Non solo. La Cassazione ha confermato che non sussisteva alcuna violazione del diritto di difesa in quanto “può essere dedotta una nullità di ordine generale per violazione dei diritto di difesa, solo quando, in concreto, l’attività processuale svolta abbia cagionato una lesione o una menomazione al diritto medesimo. Qualora invece non si sia svolta attività istruttoria il collegio svolge una mera attività di smistamento del processo alla presenza di un difensore d’ufficio, nominato ai sensi dell’art. 97, comma IV, c.p.p, non sussistendo l’obbligo del Tribunale di comunicare la nuova data fissata per la prosecuzione.”

Corte di Cassazione, sentenza n. 35604 del 04.10.2010

La Corte di Cassazione con la sentenza in esame ha precisato che non può essere concesso il rinvio dell’udienza al difensore che si è impegnato in un’altra aula, se ha già nominato un sostituto. Lo ha stabilito la Corte respingendo il ricorso di due donne condannate per furto. Le due signore impugnavano la condanna, eccependone la nullità in quanto non era stato concesso il rinvio al loro avvocato, impegnato in altra udienza. I giudici della quinta sezione penale hanno però sottolineato che il loro legale conosceva già la tempo il suo ulteriore impegno, tanto che aveva nominato un suo collega sostituto processuale. La condanna inflitta dalla Corte di Appello di Firenze è stata quindi confermata dagli Ermellini, infatti “non può essere concesso il rinvio al difensore impegnato in altra udienza qualora lo stesso abbia nominato un sostituto processuale, conferendo ampio mandato, avendo egli escluso la possibilità di avvalersi di un sostituto, ai sensi dell’art. 102 c.p.p.”

Corte di Cassazione, sentenza n. 34240 del 23.09.2010

E’ legittima la custodia cautelare in carcere disposta nei confronti dell’imputato, anche se il suo complice è stato scarcerato subito dopo l’arresto. Non c’è disparità di trattamento in quanto il giudice decide valutando la personalità del singolo. Lo ha stabilito la Suprema Corte con la sentenza in oggetto, respingendo il ricorso di un cittadino straniero contro la conferma della sua custodia in carcere per concorso nella detenzione di stupefacenti. L’uomo impugnava la sentenza della Corte d’Appello di Genova, eccependo una palese disparità di trattamento rispetto a quello riservato al coimputato nello stesso processo, scarcerato appena poche ore dopo l’arresto. La terza sezione penale ha negato la sua tesi e confermato il carcere, affermando che “in tema di misure cautelari personali, la valutazione della personalità dell’imputato varia caso per caso ed quindi, diversa per ciascuno dei soggetti del medesimo processo. Pertanto, quando la motivazione si sia soffermata sugli elementi ritenuti influenti e decisivi, il richiamo alla pretesa disparità di trattamento rispetto ad altri coimputati è del tutto inconferente, giacchè le determinazioni del giudice, in materia di custodia preventiva, conseguono alla valutazione anche di circostanze strettamente personali, che, come tali, non possono esercitare alcuna influenza sulla posizione individuale degli altri”.

Corte di Cassazione, Sezioni Unite, sentenza n. 33885 del 20.09.2010

La Corte di Cassazione a Sezioni Unite con la sentenza in esame ha precisato che in assenza di un provvedimento di riapertura inutilizzabili gli atti di indagine compiuti dopo l’archiviavione. Le sezioni unite della Cassazione nel dirimere un contrasto giurisprudenziale sposano la tesi sostenuta dalla prevalente giurisprudenza di legittimità affermando che non è possibile utilizzare gli atti di indagine eventualmente compiuti dopo un procedimento di archiviazione se non è stata disposta la riapertura delle indagini stesse. Non solo. La Cassazione, in composizione collegiale, specifica anche che è precluso all’ufficio del pubblico ministero l’esercizio dell’azione penale per lo stesso fatto-reato, considerato “oggettivamente e soggettivamente”.

Corte di Cassazione, sentenza n. 33627 del 15.09.2010

E’ inammissibile il ricorso presentato dallo stesso legale che è parte offesa dal reato. Con la sentenza in oggetto, la Cassazione esclude – come del resto previsto dalla regola generale dettata dall’articolo 613 del Codice di procedura penale – la possibilità di autorappresentarsi per il legale vittima di un reato. Gli ermellini colgolo l’occasione per ricordare che la deroga scatta invece nel caso in cui l’avvocato sia imputato nel procedimento.Un’ altra deroga è prevista, in favore dei cassazionisti, in tema di liquidazione di compensi professionali, regolata dalla speciale procedura disegnata – per gli onorari di avvocato – dall’articolo 170 del DPR 115/2002.

Corte di Cassazione, sentenza n. 33504 del 13.09.2010

Escluso qualunque automatismo nell’applicazione delle misure cautelari anche dopo un lungo periodo di carcerazione definitiva. La Cassazione rafforza, in linea con la Costituzione e con i diritti umani, le garanzie in tema di misure di prevenzione. Una tutela che non può essere compressa solo perché il soggetto interssato ha alle spelle lunghi periodi di prigione.Gli ermellini sotengono dunque il principio che dopo anni la ripresa di efficacia della misura di prevenzione della sorveglianza speciale senza obbligo di soggiorno, interrotta dalla carcerazione non cautelare, non può avvenire se non in forza di una nuova valutazione di pericolosità. Secondo il collegio di piazza Cavour, una così incisiva limitazione dei diritti di libertà per ragioni extrapenali e di prevenzione può essere giustificata solo per una persona riconosciuta pericolosa. La Suprema Corte non dimentica di sottolineare che chi è stato a lungo detenuto dovrebbe essere stato sottoposto a un trattamento di recupero e risocializzazione.

Corte di Cassazione, sentenza n. 30511 del 30.07.2010

Ai malati gravi va evitata la prigione, anche se la patologia è compatibile con la detenzione e con le possibilità di cura fornite dalla struttura carceraria. La Corte di cassazione afferma la priorità della tutela della salute dei detenuti e invita i giudici a scegliere le misure alternative al carcere anche quando il tipo di reato non le contempla. Il caso esaminato dalla prima sezione penale di piazza Cavour riguardava un detenuto che aveva chiesto al tribunale del riesame di trascorrere la pena agli arresti domiciliari in attesa di essere sottoposto a un intervento per un tumore al cervello. Domanda che il tribunale della libertà aveva respinto basandosi su accertamenti medici che avevano affermato la possibilità di mantenere il regime carcerario almeno fino all’operazione. Responso negativo supportato anche dalla considerazione che per il tipo di reato commesso dal malato non è prevista la detenzione domiciliare. Diversa l’impostazione degli ermellini i quali specificano che la norma richiamata dal riesame lascia al giudice un margine di discrezionalità nella scelta della misura da applicare in caso di gravi infermità Secondo la Cassazione la via da seguire è dunque quella del rispetto dei diritti umani e del divieto di mettere in atto trattamenti inumani e degradanti indicata anche dagli articoli 32 e 27 della Costituzione. Non c’è ubbio – spiega il supremo collegio – che anche in caso di patologie gravi il carcere, benché attrezzato per le cure, rappresenta una sofferenza aggiuntiva che può operare i limiti della umana tollerabilità. La Cassazione censura dunque la scelta, contraria al senso di umanità del tribunale della libertà che non ha tenuto in debito conto i principi umanitari e costituzionali privando il ricorrente, condannato a una pena di soli cinque anni, della possibilità di trascorre in ambito familiare il tempo in attesa di un intervento da cui dipendeva la sua sopravvivenza.

Corte di Cassazione, sentenza n. 32571 del 01.09.2010

La parte che chiede i file audio delle intercettazioni non ha diritto ad averne una copia se il difensore si è attivato in ritardo rispetto al giorno dell’udienza. Lo ha stabilito la Sesta sezione penale della Suprema Corte che, con la sentenza 32571 del 1 settembre scorso, ha respinto il ricorso presentato da una donna contro l’ordine di custodia cautelare in carcere confermato dal Tribunale del riesame di Roma. In seguito ad indagini legate al traffico di stupefacenti, le era stata applicata la misura sulla base di intecettazioni telefoniche dalle quali emergeva il ruolo di corriere di cocaina. Lei però dimenticava un errore di procedura, poiché il proprio difensore, pur avendone fatta richiesta a 48 ore dalla data di udienza, non aveva ricevuto la trasposizione delle conversazioni con conseguente impossibilità di verifica di quanto trascritto nei brogliacci. Al caso è stato applicato il principio fissato dalle Sezioni Unite penali con la sentenza 20300 dello scorso maggio con un paletto: se l’istanza viene presentata in ritardo il diritto ad ottenere i file audio viene meno. A primavera il Collegio esteso aveva affermato che “se da un lato il pubblico ministero deve assicurare l’esercizio del diritto alla lettura della trasposizione delle intercettazioni, dall’altro è necessario che il difensore dell’indagato si attivi in tempi tali da permettere l’attivazione dell’amministrazione. Così gli Ermellini riscontrando nel caso in specie una tardività della richiesta che, sopraggiunta a 48 ore dalla data dell’udienza, mal si prestava ad essere esaudita, hanno respinto il ricorso e confermato la legittimità nell’utilizzo dei dati raccolti tramite intercettazioni telefoniche”.

Corte di Cassazione, Sezioni Unite, sentenza n. 23909 del 22.06.2010

Alle sezioni unite era stata posta le seguente questione: “se, dopo l’espletamento delle indagini disposte in esito al non accoglimento, su opposizione della persona offesa, di un prima richiesta di archiviazione, il giudice delle indagini preliminari, riproposta dal pubblico ministero la richiesta di archviazione, sia tenuto a fissare l’udienza camerale o possa provvedere con decreto”. I giudici con le sentenza in oggetto hanno deciso che “il giudice può provvedere con decreto se non vi sia nuova opposizione o se questa sia inammissibile”.