Colpevole per aver dato del “deficiente” ad un alunno

Il caso

Un insegnante di una scuola media siciliana veniva condannato in prime e seconde cure per il delitto di maltrattamenti in danno di un suo alunno.

In presenza di tutta la classe l’imputato era solito apostrofare il dodicenne con epiteti e frasi scurrili come “fetente”, “deficiente”, “c…one”, “fituso” (che sta per “sporco”) e “vucca aperta” (che sta per “stolto”).

La difesa dell’insegnante proponeva ricorso per cassazione affermando che era più corretto parlare di “abuso dei mezzi di correzione”.

Per la Suprema Corte risulta evidente l’umiliazione subita dal ragazzo ed è impossibile valutare un ridimensionamento dell’accusa.

I Giudici sottolineano che il ricorrente apostrofava «sistematicamente la vittima, allora appena dodicenne, durante le lezioni e comunque dinanzi ai compagni di classe, con epiteti dall’indiscutibile valenza ingiuriosa» e umiliante «considerando la differenza di ruolo, oltre che di età» tra insegnante e alunno.

Contrariamente a quanto affermato dalla difesa «non risulta che un siffatto contegno si rendesse necessario a scopi correttivi», ma anzi è indiscutibile che «quand’anche il suo autore avesse agito con quegli intenti, tale suo comportamento non fosse affatto adeguato a questi ultimi».

Il ricorso viene dichiarato inammissibile e con la sentenza n. 3459/21 del 27 gennaio la Corte si Cassazione condanna l’insegnante al pagamento delle spese processuali.