La Corte di Cassazione con ordinanza n. 2904 del 8 febbraio 2021 ha ribadito che l’esecuzione sui beni del fondo patrimoniale è inammissibile se i debiti sono contratti nell’esercizio dell’attività imprenditoriale.
Più nel dettaglio, la vicenda trae origine dall’iniziativa giudiziaria avviata da uno dei titolari del fondo patrimoniale colpito dall’azione esecutiva della banca creditrice nei confronti di somme di denaro relative a fideiussione da questi prestate nell’ambito dell’attività imprenditoriale esercitata.
In primo ed in secondo grado la domanda attorea è stata respinta sulla base della inopponibilità alla creditrice procedente del conferimento in un fondo patrimoniale del bene oggetto di pignoramento (nella specie un appartamento con annesso garage).
In terzo grado di giudizio, la Corte – dopo aver ricordato che, a tutela del credito, contro la costituzione di un fondo patrimoniale ex art. 167 cod.civ. è ammessa l’azione revocatoria ordinaria ai sensi dell’art. 2901 c.c., “senza alcun discrimine circo lo scopo ulteriore da quest’ultimo (n.d.r. il debitore) avuto di mira nel compimento dell’atto dispositivo” – pone l’accento sul concetto di bisogni della famiglia al cui soddisfacimento sono vincolati i beni conferiti nel fondo patrimoniale, delineandone il contenuto.
Accogliendo la tesi che privilegia un concetto non restrittivo di bisogni della famiglia, tale da ricomprendere non solo le necessità c.d. essenziali o indispensabili della famiglia ma tutto quanto risulti essere necessario e funzionale allo svolgimento e allo sviluppo della vita familiare e al suo miglioramento del benessere anche economico, la Corte osserva che affinché un debito possa dirsi contratto per il soddisfacimento di bisogni familiari, e quindi dare luogo all’azione esecutiva sul fondo patrimoniale, è necessario che la fonte e la ragione del rapporto obbligatorio abbiano inerenza diretta ed immediata con i bisogni della famiglia.
Questa qualità, secondo il Collegio, non è presente nelle obbligazioni derivanti dall’attività imprenditoriale o professionale, che di norma risultano avere inerenza diretta ed immediata con le esigenze della medesima attività, potendo assolvere solo indirettamente ed in via mediata ai soddisfacimento dei bisogni familiari.
Sulla scorta di tali richiamati principi, la Suprema Sezione ha censurato la pronuncia della Corte di merito gravata per non avere applicato correttamente tali principi, nella parte in cui ha, in particolare e di contro, ravvisato nei contratti di garanzia stipulati dal coniuge ricorrente – sulla base di mere presunzioni- obbligazioni assunte nell’interesse della famiglia.
In accoglimento delle ragioni attoree, pertanto, la Corte di Cassazione ha cassato la sentenza impugnata e rinviato alla Corte di merito, in diversa composizione, per un nuovo esame della vicenda, che non potrà prescindere dalla corretta applicazione dei richiamati e disattesi principi.