La Corte di Cassazione, sesta sezione penale, nella sentenza n.10901/2017, stabilisce che denigrare di continuo il figlio della convivente, anche se con intento scherzoso, non esclude l’elemento soggettivo del reato di maltrattamenti. I giudici di legittimità ribadiscono infatti che “un intento intermittentemente scherzoso o giocoso non esclude certo il dolo del reato, i quale si caratterizza per la coscienza e volontà di sottoporre la persona offesa a una serie di sofferenze fisiche o morali in modo continuato e abituale”.
I Giudici di Piazza Cavour hanno annullato la sentenza del Tribunale di Ravenna, impugnata “per saltum” dal P.M. e dal difensore della parte civile. Il giudice di merito aveva assolto infatti, per insussistenza del fatto, l’uomo imputato, tra l’altro, del reato di cui all’art. 572 c.p. (maltrattamenti contro familiari e conviventi), per aver tormentato il figlio della moglie convivente, attraverso “ripetute condotte psicologicamente violente realizzate mediante reiterazione sistematica di atti di disprezzo e denigrazione del minore, con sopraffazione morale della persona offesa“.
In effetti, tali condotte sono state riconosciute come dannose dallo stesso Tribunale, tuttavia giustificate dall’appartenenza dell’uomo ad una sottocultura, ascrivibili ad una mentalità maschilista, retrograda e superata, tale da escluderne la rilevanza penale.
Una motivazione che non ha soddisfatto la giurisprudenza di legittimità: le condotte di maltrattamento raggiungono la soglia della rilevanza penale perchè si collocano in una più ampia e unitaria condotta abituale idonea a imporre un regime di vita vessatorio mortificante e insostenibile. Nel caso di specie, come dimostrato dal corredo probatorio e dalle testimonianze, ci si trova di fronte a condotte caratterizzate da un manifesto disprezzo nei confronti della personalità morale e della dignità del minore e anche da minute, ma reali, violenze fisiche.
La parola adesso al giudice del rinvio.