Quando il mediatore matura il diritto al compenso?

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In tema di mediazione, al fine del riconoscimento del diritto del mediatore alla provvigione, l’affare deve ritenersi concluso quando tra le parti poste in relazione dal mediatore si sia costituito un vincolo giuridico che abiliti ciascuna di essa ad agire per l’esecuzione specifica del negozio o per il risarcimento del danno.

Ne consegue che la prestazione del mediatore ben può esaurirsi nel ritrovamento e nell’indicazione di uno dei contraenti, indipendentemente dal suo intervento nelle varie fasi delle trattative sino alla stipula del negozio, sempre che la prestazione stessa possa legittimamente ritenersi conseguenza prossima o remota della sua opera, tale, cioè, che senza di essa, il negozio stesso non sarebbe stato concluso, secondo i principi della causalità adeguata. È quanto si legge nella sentenza del Tribunale di Firenze del 17 dicembre 2019 n. 3856.

Il Tribunale di Firenze ha infatti chiarito che “In tema di mediazione, al fine del riconoscimento del diritto del mediatore alla provvigione, l’affare deve ritenersi concluso quando tra le parti poste in relazione dal mediatore si sia costituito un vincolo giuridico che abiliti ciascuna di essa ad agire per la esecuzione specifica del negozio o per il risarcimento del danno”.

Il Tribunale ha specificato che: “Per aversi diritto alla provvigione non basta che l’affare sia stato concluso, occorre che la conclusione sia avvenuta per effetto dell’intervento del mediatore, il quale, cioè, deve avere messo in relazione i contraenti con un’attività causalmente rilevante ai fini della conclusione del medesimo affare”.

In dettaglio, “La conclusione dell’affare deve cioè essere in rapporto causale con l’opera svolta, ancorché quest’ultima consista nella semplice attività di reperimento e nell’indicazione dell’altro contraente, o nella segnalazione dell’affare, sempre che l’attività costituisca il risultato utile di una ricerca fatta dal mediatore, che sia stata poi valorizzata dalle parti”.

La giurisprudenza di legittimità ha invero affermato che il diritto del mediatore alla provvigione sorge tutte le volte in cui la conclusione dell’affare sia “In rapporto causale con l’attività intermediatrice, pur non richiedendosi che, tra l’attività del mediatore e la conclusione dell’affare, sussista un nesso eziologico diretto ed esclusivo, ed essendo, viceversa, sufficiente che, anche in presenza di un processo di formazione della volontà delle parti complesso ed articolato nel tempo, la “messa in relazione” delle stesse costituisca l’antecedente indispensabile per pervenire, attraverso fasi e vicende successive, alla conclusione del contratto”.

Di conseguenza la prestazione del mediatore ben può esaurirsi nel ritrovamento e nell’indicazione di uno dei contraenti, “Indipendentemente dal suo intervento nelle varie fasi delle trattative sino alla stipula del negozio, sempre, che la prestazione stessa possa legittimamente ritenersi conseguenza prossima o remota della sua opera, tale, cioè, che, senza di essa, il negozio stesso non sarebbe stato concluso, secondo i principi della causalità adeguata”.

Il Tribunale di Firenze ha inoltre chiarito, richiamando la consolidata giurisprudenza di Cassazione, che “Secondo i principi che regolano l’onere probatorio, incombe sul mediatore fornire la prova dell’esistenza di utile valido contributo causale tra la propria attività e la conclusione dell’affare. Tuttavia, detta prova non può essere fornita semplicemente dimostrando la successione cronologica tra attività del mediatore e conclusione dell’affare”.