Condominio: “case alloggio” escluse se vietate dal regolamento

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La Corte di Cassazione con la sentenza n. 25139 del 2019 ha stabilito che i limiti alle destinazioni degli appartamenti posti dal regolamento condominiale integrano servitù atipiche e non obbligazioni propter rem.

La pronuncia traeva origine dal ricorso promosso da una società, conduttrice di appartamenti in condominio, convenuta in giudizio da alcuni condomini. Questi ultimi lamentavano l’esercizio di attività alberghiera all’interno delle unità abitative della società, in aperto contrasto con il regolamento condominiale che vietava di destinare gli appartamenti e gli altri locali del fabbricato a “case di alloggio”. Chiedevano quindi di accertare l’illegittimo operato della convenuta e di condannarla al risarcimento del danno.

Il Tribunale di prime cure accoglieva la domanda che veniva confermata anche dalla Corte d’Appello con condanna della società a rimuovere l’insegna alberghiera posta sulla facciata dell’edificio. A sostegno della propria decisione la Corte di secondo grado indicava che uno dei condomini aveva prodotto copia del regolamento condominiale interamente trascritto e della relativa nota di trascrizione. Entrambi gli atti dovevano quindi intendersi opponibili all’originaria convenuta, con conseguente reiterazione nei suoi confronti dell’ordine di cessazione dell’attività alberghiera in quanto vietata dal regolamento.

La società soccombente proponeva quindi ricorso per cassazione. Interrogata sul punto, la Corte  di Cassazione ha osservato che gli originari attori avevano depositato copia conforme del regolamento condominiale debitamente trascritto, con tanto di indicazione dei nominativi dei condomini a favore e contro i quali operava la trascrizione. Il capitolo 3 del regolamento vietava inoltre testualmente di destinare gli appartamenti e gli altri locali del fabbricato a case di alloggio.

A fronte di tale produzione documentale, la Corte ha rilevato quindi incensurabilità della conclusione cui è giunto il Tribunale, che ha ritenuto comprovata l’esistenza del diritto di servitù invocato dagli attori. Altrettanto insindacabile è la statuizione della Corte d’Appello, che ha riconosciuto la natura contrattuale del regolamento, in quanto recante la sottoscrizione di tutti i condomini.

La Corte ritiene infine soddisfatto l’onere di indicare nella nota di trascrizione le clausole limitative della proprietà esclusiva dei singoli condomini, divenendo quindi loro opponibili le relative servitù, costituite in via convenzionale.

Muovendo da tali considerazioni, ha successivamente rigettato il ricorso, condannando la società ricorrente al pagamento delle spese del giudizio.