Il caso
Ad un tifoso veniva vietato per cinque anni di accedere ai luoghi dove si sarebbero svolte partite di calcio (anche amichevoli) disputate in serie A, B, lega Pro, coppe nazionali ed internazionali, selezioni regionali, in Italia e in tutta l’Unione Europea.
Una condanna così severa (DASPO) veniva motivata dal comportamento fortemente aggressivo del tifoso durante uno scontro avvenuto contro i sostenitori di una squadra ospite dopo un incontro calcistico.
Denunciato per rissa aggravata contesta la sentenza del TAR giacché gli elementi indiziari a suo carico presumevano la sua partecipazione alla rissa ma non ne accertavano il coinvolgimento.
L’uomo infatti era stato identificato in maniera certa dalla polizia grazie a dei filmati poco nitidi dove invece a suo dire non era possibile identificarlo con certezza. Gli agenti avevano inoltre dedotto la sua partecipazione alla rissa da delle ferite che lui presentava sul volto e che solo presumibilmente potevano essere state causate durante lo scontro.
Il Consiglio di Stato dichiara inammissibile il ricorso del tifoso ritenendo “sufficiente una dimostrazione fondata su elementi di fatto gravi, precisi e concordanti, secondo un ragionamento causale di tipo probabilistico improntato a una elevata attendibilità”.
Con la sentenza n. 317/21 dell’11 gennaio il Consiglio di Stato ritiene illegittimo il ricorso e conferma la sentenza impugnata condannando il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio.