È collusione la creazione di una rete di imprese per partecipare ad una gara

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Consiglio di Stato, sentenza n. 5021 del 16.09.2011

Il Consiglio di Stato con la decisione in esame ha precisato che l’interdittiva antimafia non ha finalità di accertamento di responsabilità, bensì di anticipare l’azione di prevenzione, rispetto alla quale risultano rilevanti anche fatti e vicende solo sintomatiche e indiziarie. Di conseguenza, non occorre che sia provata l’esistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa, ma è sufficiente la mera possibilità di interferenze della criminalità. Questi i principi ribaditi dal Consiglio di Stato con la decisione in oggetto con la quale è stato respinto il ricorso presentato da una ditta di pulizia alla quale l’Azienda sanitaria locale aveva revocato il servizio in seguito all’applicazione dell’autorità prefettizia della misura preventiva. Secondo il Collegio l’adozione della misura interdittiva è legittima poiché l’esistenza di un condizionamento da parte della criminalità risulta attendibile.

Corte di Cassazione, sentenza n. 16333 del 26.04.2011

La Corte di Cassazione con la sentenza in esame ha precisato che la presentazione di offerte coordinate da parte di diverse società partecipanti ad un appalto pubblico integra il reato di turbativa d’asta. E ciò anche nel caso in cui fra le imprese sussista un collegamento legittimo e consentito.
Secondo i giudici “ciò che rileva non è il mero dato del collegamento – formale o sostanziale – in sé”. Infatti, “esso anche quando non consentito rimane sempre solo un indice di irregolarità suscettibile di acquisire rilevanza penale”. Ma ad essere contrario alla legge è l’esistenza dell’“accordo preventivo”, in quanto “idoneo ad influire sull’esito della gara”. Così violando i beni giuridici tutelati dalla norma e cioè “la libertà di partecipazione” e “la libertà dei singoli partecipanti di influenzare l’esito della gara secondo la regola di libera effettiva concorrenza”, nell’interesse primario della pubblica amministrazione e della individuazione del “giusto prezzo”. Parametro quest’ultimo “cui si perviene attraverso l’effettiva libera concorrenza” il che dunque “esclude in radice, per insuperabile incompatibilità, ogni forma di collusione” e quindi “di accordo preventivo”.
In sostanza, secondo i giudici “la conoscibilità del collegamento tra i partecipanti alla gara, formale o sostanziale, non si traduce nella liceità penale degli accordi preventivi intercorsi sui contenuti delle singole offerte presentate dai collegati, volti ad influire sull’esito della gara”. Perché l’articolo 353 del codice penale, che prevede il reato di “Turbata libertà degli incanti”, “ha sempre l’efficacia di autonoma fonte incriminatrice, vietandoli quale che sia il rapporto a monte tra i partecipanti”.
In conclusione i giudici di Piazza Cavour affermano il principio di diritto per cui “nel prevedere anche la condotta della collusione, l’articolo 353 c.p. incrimina tutti gli accordi preventivi tra partecipanti aventi ad oggetto gli specifici contenuti delle rispettive offerte, volti ad alterare la regola indefettibile della libera concorrenza fra i soggetti giuridici che partecipano in via autonoma, regola che, posta innanzitutto a garanzia della pubblica amministrazione quale metodo che assicura il corretto ed efficace perseguimento del giusto prezzo, secondo i parametri dello specifico bando, è indisponibile per i singoli partecipanti”.
Infine, “trattandosi di reato di pericolo” la consumazione avviene con la presentazione delle offerte dai contenuti concordati, perché è in quello momento che “la gara è turbata, senza che occorra la produzione di un danno o il conseguimento di un profitto”.