Responsabilità medica e sanitaria

UN BREVE EXCURSUS SULLA NORMATIVA DI RIFERIMENTO IN MATERIA DI RESPONSABILITA’ MEDICA E SANITARIA

Buongiorno a tutti,

il mio intervento è volto a fornirvi coordinate di carattere generale in relazione alle fonti della responsabilità medica e sanitaria e all’evoluzione normativa che nell’ultimo decennio ha interessato la materia. Mi soffermerò quindi sul contenuto della nota 79 AIFA e sulle conseguenze che potrebbero derivare al medico dalla sua inosservanza.

Negli anni ‘80 la fonte della responsabilità del sanitario era di natura extra-contrattuale, essendo considerato contratto solo quello stipulato tra il paziente e la struttura ospedaliera. L’evoluzione giurisprudenziale della Corte di Cassazione ha poi affermato che la responsabilità medica si fonda sul “contatto sociale” che si instaura tra medico e paziente ed è pertanto di natura contrattuale.

Le differenze sostanziali tra i due tipi di responsabilità, contrattuale ed extracontrattuale, sono rilevanti e riguardano principalmente:

L’ ONERE DELLA PROVA:

  1. il paziente che agisce in giudizio per far valere la responsabilità contrattuale deve soltanto provare il contratto e allegare l’inadempimento del sanitario, mentre quest’ultimo dovrà invece provare l’esatto adempimento della prestazione. Si applica quindi l’art. 1218 c.c., in virtù del quale “Il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile”.
  2. il paziente che agisce in giudizio per far valere la responsabilità extracontrattuale ha l’onere di provare sia il pregiudizio subito, sia il dolo, o almeno la colpa, del danneggiante. La norma di riferimento è in tal caso l’art. 2043 c.c.: “Qualunque fatto doloso o colposo che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno”.

LA PRESCRIZIONE:

  1. il diritto al risarcimento del danno può essere domandato entro i 10 anni dall’evento se la responsabilità è contrattuale;
  2. in ambito extracontrattuale l’estinzione del diritto al risarcimento del danno si verifica trascorsi 5 anni dall’evento dannoso.

A partire dalla fine degli anni ‘90 si sono moltiplicate le cause aventi ad oggetto la responsabilità medica, cui ha fatto da contraltare il cosiddetto fenomeno della “medicina difensiva”. Difatti il medico si è visto costretto ad adottare tutta una serie di cautele volte a ridurre il più possibile i rischi derivanti dall’esercizio della professione sanitaria, con l’ulteriore conseguenza dell’aumento dei costi per il Sistema Sanitario Nazionale

Poiché, peraltro, anche le denunce penali si sono moltiplicate in maniera esponenziale – e ciò anche a causa della maggiore fruibilità delle informazioni per i cittadini attraverso i mass media – il legislatore ha cominciato a rivolgere una maggiore attenzione alla materia.

IL D.LGS. 28/10

Il primo “filtro” è consistito nell’introdurre la mediazione obbligatoria.

Con il D.Lgs. n. 28/10 si è infatti stabilito che chi intende esercitare un’azione giudiziaria civile in tema di responsabilità medica e sanitaria, prima di adire il Tribunale dovrà obbligatoriamente esperire il tentativo di mediazione con l’assistenza di un avvocato.

Si tratta di una procedura semplificata che si svolge al di fuori delle aule dei tribunali e più precisamente presso un Organismo di mediazione accreditato ed ha la durata massima di tre mesi. Il ruolo cardine è svolto da un professionista chiamato “Mediatore” che, ascoltate le rispettive posizioni delle parti – chiamante e chiamata- tenta di conciliarle e pertanto di far raggiungere un accordo.

L’anomalia di detta procedura è che la parte chiamata (dunque il medico e/o la struttura sanitaria e/o loro eventuali compagnie di assicurazione) non è altrettanto obbligata, come la chiamante, a presentarsi dinanzi al Mediatore. Con la conseguenza che il paziente, esperito infruttuosamente detto tentativo, potrà rivolgersi al Tribunale.

Il D.Lgs. n. 28/10 ha poi escluso l’obbligatorietà del tentativo di mediazione nelle ipotesi in cui il paziente ricorra al Tribunale ai sensi dell’art. 696 bis c.p.c..

Questo tipo di procedimento, che si introduce con ricorso ed ha carattere sommario, potrebbe essere scelto dal paziente per ottenere, da parte del Giudice, la nomina di un consulente tecnico d’ufficio a fini conciliativi. Dunque compito del consulente sarà quello di comporre la lite. Anche in questo caso, se le parti si conciliano, ogni questione si chiude. Se il tentativo di conciliazione fallisce, la consulenza potrà essere utilizzata nel successivo giudizio di merito eventualmente introdotto dal paziente.

LA LEGGE BALDUZZI: CONVERSIONE IN LEGGE, CON MODIFICAZIONI, DEL DECRETO-LEGGE 13 SETTEMBRE 2012, N. 158, RECANTE DISPOSIZIONI URGENTI PER PROMUOVERE LO SVILUPPO DEL PAESE MEDIANTE UN PIÙ ALTO LIVELLO DI TUTELA DELLA SALUTE

Nel 2012, con il decreto legge n. 158/12, si è per la prima volta disciplinata la materia in maniera specifica.

La Legge Balduzzi, quale provvedimento definitivo di riferimento, ha apportato le seguenti innovazioni:

  • ha introdotto obblighi assicurativi riguardanti esclusivamente gli esercenti le professioni sanitarie;
  • ha demandato ad uno specifico regolamento la definizione dei requisiti minimi ed uniformi per l’idoneità dei contratti assicurativi dei professionisti del settore e l’individuazione dei casi nei quali un apposito Fondo dovrebbe garantire idonea copertura assicurativa agli esercenti le professioni sanitarie. Successivamente il D.L. n. 90/14, convertito, con modificazioni, dalla Legge 114/14 ha precisato che l’obbligo in questione sussiste anche per l’esercizio dell’attività libero-professionale intramuraria;
  • ha contrapposto al concetto di colpa grave quello di colpa lieve, correlandolo all’osservanza delle linee guida e delle buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica. L’art. 3 della legge in esame ha infatti stabilito quanto segue: “L’esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve. In tali casi resta comunque fermo l’obbligo di cui all’articolo 2043 del codice civile. Il giudice, anche nella determinazione del risarcimento del danno, tiene debitamente conto della condotta di cui al primo periodo”.

Tuttavia la Legge Balduzzi ha dato adito a non pochi contrasti interpretativi e comunque non ha risolto alcune questioni di carattere operativo al punto che, in epoca immediatamente successiva alla sua pubblicazione, sono iniziati i lavori parlamentari volti a regolamentare nuovamente la materia, di lì a poco conclusisi con l’approvazione di una nuova legge, la

LEGGE GELLI-BIANCO: LEGGE N. 24/2017 RECANTE “DISPOSIZIONI IN MATERIA DI SICUREZZA DELLE CURE E DELLA PERSONA ASSISTITA, NONCHÉ IN MATERIA DI RESPONSABILITÀ PROFESSIONALE DEGLI ESERCENTI LE PROFESSIONI SANITARIE”

La Legge Gelli-Bianco non ha integralmente abrogato la Legge Balduzzi, ma soltanto alcune disposizioni, tra cui proprio il comma 1 del precitato art. 3.

Ha quindi previsto quanto segue:

  • l’obbligatorietà, in capo alle strutture sanitarie e sociosanitarie pubbliche e private, oltreché in relazione alle prestazioni rese in regime di attività libero professionale intra moenia, della copertura assicurativa per la responsabilità civile verso terzi, per la responsabilità civile verso prestatori d’opera, nonché per la responsabilità civile verso terzi degli esercenti le professioni sanitarie scelti dal paziente e non dipendenti della struttura stessa.

Ciascuna struttura dovrà pubblicare nel proprio sito internet la denominazione dell’impresa che presta la copertura assicurativa.

Inoltre, ciascun esercente la professione sanitaria che operi a qualunque titolo in strutture sanitarie o sociosanitarie pubbliche o private dovrà stipulare, con oneri a proprio carico, un’adeguata polizza di  assicurazione per colpa grave.

La garanzia assicurativa deve prevedere un’operatività temporale anche per gli eventi accaduti nei dieci anni antecedenti la conclusione del contratto assicurativo, purché denunciati all’impresa di assicurazione durante la vigenza temporale della polizza.

  • Da un punto di vista procedurale, la Legge Gelli-Bianco (art. 8) ha individuato nel ricorso ex art. 696-bis c.p.c. il procedimento cardine, che costituisce pertanto condizione di procedibilità della domanda.

Al procedimento dovranno partecipare obbligatoriamente tutte le parti, ivi comprese le compagnie assicuratrici, che avranno altresì l’obbligo di formulare l’offerta di risarcimento del danno ovvero comunicare i motivi per cui ritengono di non formularla.

La sanzione per la compagnia che, pur avendo partecipato al procedimento, non abbia formulato l’offerta di risarcimento, consisterà nella trasmissione di copia della sentenza favorevole per il danneggiato, da parte del Giudice, all’Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni (IVASS), affinché l’Istituto ponga in essere gli adempimenti di propria competenza.

Inoltre, in caso di mancata partecipazione al procedimento, il giudice condannerà le parti che non vi hanno partecipato al pagamento delle spese di consulenza e di lite, indipendentemente dall’esito del giudizio.

Infine, in caso di mancata conciliazione o qualora il procedimento non si dovesse concludere entro il termine perentorio di sei mesi dal deposito del ricorso ex art. 696 bis c.p.c., la domanda diverrà procedibile e resteranno salvi gli effetti della domanda medesima se, entro novanta giorni dal deposito della relazione del CTU o dalla scadenza del termine perentorio, verrà depositato, presso il giudice che ha trattato il procedimento, un ricorso ex 702-bis c.p.c.

Fatto salvo quanto sopra, il paziente danneggiato potrà agire direttamente nei confronti delle compagnie di assicurazione delle strutture e/o dei medici e sanitari, che in ogni caso saranno litisconsorti necessari nei giudizi medesimi. L’impresa di assicurazione avrà poi diritto di rivalsa verso il proprio assicurato nel rispetto dei requisiti minimi. Si resta tuttavia ancora in attesa dei decreti ministeriali che, tra l’altro, stabiliscano proprio i requisiti minimi delle polizze assicurative.

La legge Gelli-Bianco disciplina altresì le modalità di esercizio dell’azione di rivalsa nei confronti dell’esercente la professione sanitaria, cui potrà farsi luogo nei soli casi di dolo o colpa grave, e dell’azione amministrativa da parte del Pubblico Ministero presso la Corte dei Conti, che potrà esercitarsi sempre nelle ipotesi di dolo o colpa grave dell’esercente la professione sanitaria. In entrambi i casi, le azioni di cui sopra sono precluse dalla violazione degli obblighi di comunicazione di cui all’art. 13. Tale ultima disposizione pone a carico, rispettivamente delle strutture sanitarie, degli esercenti e delle imprese di assicurazione, l’obbligo di comunicare, entro 10 giorni dal ricevimento della notifica di un atto giudiziario introduttivo di un procedimento civile, la avvenuta instaurazione del giudizio e/o, sempre entro i 10 giorni successivi, l’avvio di trattative stragiudiziali con il danneggiato, con invito  a  prendervi  parte.

La mediazione obbligatoria, disciplinata dal D.Lgs. n. 28/2010, quale strumento deflattivo del contenzioso, rimane comunque alternativa al ricorso ex 696 bis c.p.c., ma nello spirito della norma passa in secondo piano.

  • Da un punto di vista sostanziale la Legge Gelli-Bianco ha innanzitutto ribadito, all’art. 5, che “Gli esercenti le professioni sanitarie, nell’esecuzione delle prestazioni sanitarie con finalità preventive, diagnostiche, terapeutiche, palliative, riabilitative e di medicina legale, si attengono, salve le specificità del caso concreto, alle raccomandazioni previste dalle linee guida pubblicate ai sensi del comma 3 e […] In mancanza delle suddette raccomandazioni, gli esercenti le professioni sanitarie si  attengono alle buone pratiche clinico-assistenziali”.

Rispetto alla Legge Balduzzi viene meno ogni distinzione tra colpa lieve e colpa grave. Inoltre la nuova normativa ha avuto il merito di indicare quali siano le linee guida cui far riferimento e chi sia l’organo competente a valutarle e selezionarle.

Difatti in attuazione del comma 3 del predetto articolo, in tempi decisamente rapidi rispetto all’emanazione della Legge Gelli-Bianco, con Decreto del Ministro della Salute dello scorso 27.02.2018 è stato istituito il Sistema Nazionale Linee Guida (SNLG) presso l’Istituto superiore di sanità, gestito da un Comitato strategico istituito presso il menzionato Istituto.

Il SNLG consente la valutazione, l’aggiornamento e la pubblicazione delle linee guida, anche ai sensi e per gli effetti delle disposizioni di cui all’art. 590 -sexies del codice penale introdotto dall’art. 6, comma 1, della legge n. 24 del 2017, che punisce la responsabilità colposa per morte o lesioni personali in ambito sanitario e di cui tratterà nello specifico il Dott. Agostino Quistelli all’esito del mio intervento.

Pertanto la funzione principale del SNLG è quella di costituire l’unico punto di accesso alle linee guida di cui all’art. 5 della legge n. 24 del 2017, e ai relativi aggiornamenti.

Rammentiamo che le linee guida sono delle “raccomandazioni di comportamento clinico, elaborate mediante un processo di revisione sistematica della letteratura e delle opinioni scientifiche, al fine di aiutare medici e pazienti a decidere le modalità assistenziali più appropriate in specifiche situazioni cliniche” (M. J. Field – K. N. Lohr, Guideline for Clinical Practice: from development to use, Washington, Institute of Medicine, National Academy Press, 1992, 35), mentre le buone pratiche sono regole cautelari che ciascun medico dovrebbe conoscere ed applicare a seconda del caso concreto.

In relazione a queste ultime, con Decreto del Ministro della Salute del 29.09.2017 e sempre in attuazione dell’art. 5 comma 3 della Legge Gelli, è stato istituito presso la sede dell’AGENAS (Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali) l’Osservatorio nazionale delle buone pratiche sulla sicurezza nella sanità, che da un lato avrà la funzione di raccogliere e sistematizzare tutti i dati relativi agli eventi avversi e ai rischi sanitari, dall’altro individuerà linee di indirizzo e le buone pratiche in tema di sicurezza delle cure.

In tal modo i parametri di riferimento per valutare la colpa del sanitario sono ben delimitati, e dunque anche il margine di discrezionalità del giudice nell’accertamento dell’imperizia non potrà discostarsi da tali parametri, con la precisazione che le buone pratiche clinico assistenziali potranno essere invocate solo in mancanza delle linee guida.

  • Ancora da un punto di vista sostanziale e per quel che strettamente attiene alla natura della responsabilità medica e sanitaria, l’art. 7 stabilisce a chiare lettere che la struttura sanitaria o sociosanitaria pubblica o privata risponde sempre ai sensi degli articoli 1218 e 1228 del codice civile, e dunque a titolo di responsabilità contrattuale, anche qualora si avvalga dell’opera di esercenti la professione sanitaria scelti dal paziente e/o non dipendenti della struttura stessa e anche in relazione alle prestazioni sanitarie svolte in regime di libera professione intramuraria ovvero nell’ambito di attività di sperimentazione e di ricerca clinica ovvero in regime di convenzione con il Servizio sanitario nazionale nonché attraverso la telemedicina.
  • Quanto al singolo esercente la professione sanitaria, lo stesso risponderà del proprio operato ai sensi dell’articolo 2043 c.c., e dunque a titolo di responsabilità extracontrattuale, salvo che abbia agito nell’adempimento di un’obbligazione contrattuale assunta con il paziente, nel qual caso nuovamente il titolo sarà contrattuale.

Ne discende che, come del resto era avvenuto con la Legge Balduzzi:

  • la responsabilità della struttura pubblica o privata convenuta è e resta di natura contrattuale;
  • in presenza di un inadempimento di un contratto d’opera professionale diverso da quello stipulato con la struttura pubblica o privata il titolo della responsabilità è contrattuale;
  • in assenza di un inadempimento di un contratto d’opera professionale il titolo della responsabilità è extracontrattuale.

Per quel che concerne la liquidazione del danno risarcibile, si dovrà far riferimento ai parametri ed alle tabelle di cui agi artt. 138 (Danno biologico per  lesioni  di  non  lieve entità) e 139 (Danno biologico per lesioni  di lieve entità) del D.Lgs. 7 settembre 2005, n. 209 (Codice delle assicurazioni).

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Per concludere sul punto, si ribadisce che le ulteriori disposizioni di legge applicabili alla responsabilità medica che, rispettivamente, in materia civile e penale, fanno riferimento al concetto di colpa, sono sempre le stesse, ovvero

ART. 2236 C.C.

Se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore d’opera non risponde dei danni se non in caso di dolo o colpa grave

(c.d diligenza qualificata in base alla natura della prestazione ex art. 1176 comma 2 c.c).

ART. 43, COMMA 1 C.P.

Il delitto: è colposo, o contro l’intenzione, quando l’evento, anche se preveduto, non è voluto dall’agente e si verifica a causa di negligenza o imprudenza o imperizia, ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline.

In rapporto alle fonti delle regole cautelari, la colpa si distingue in GENERICA o SPECIFICA:

  • la colpa generica si verifica nelle ipotesi di:

NEGLIGENZA: una determinata attività, che avrebbe dovuto essere compiute, non viene invece compiuta per trascuratezza, disattenzione o mancanza di sollecitudine dell’agente;

IMPRUDENZA: una determinata attività, che non avrebbe dovuto essere compiuta o che avrebbe dovuto essere compiuta con modalità diverse, viene invece posta in essere per avventatezza o insufficiente considerazione degli interessi altrui;

IMPERIZIA: l’attività viene compiuta senza avere le necessarie cognizioni tecniche.

  • La colpa specifica si verifica per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline.

ART. 1176, COMMA 2 C.C.

Ai fini del giudizio di responsabilità nei confronti del professionista, rilevano le modalità dello svolgimento della sua attività in relazione al parametro della diligenza fissato dall’art. 1176, secondo comma, cod. civ., che è quello della diligenza del professionista valutata in relazione all’attività svolta. Applicando tali principi al medico, questi non è tenuto a garantire il risultato finale (completa guarigione), ma ha comunque il dovere di svolgere l’attività professionale necessaria ed utile in relazione al caso concreto ed ha il dovere di svolgerla con la necessaria adeguata diligenza, ponendo in essere tutto quanto sia idoneo ed indispensabile a tutelare e garantire il diritto alla salute del paziente, e quindi a migliorare le condizioni di salute del paziente medesimo.

Pertanto il paziente dovrà soltanto fornire la prova della fonte negoziale o legale del suo diritto ed allegare l’inadempimento del medico alle proprie obbligazioni.

Sarà il medico, invece, a dover dare la prova del proprio esatto adempimento e dimostrare che eventuali esiti peggiorativi lamentati non siano stati determinati dalla propria condotta ma da altri eventi imprevisti e/o imprevedibili, o comunque anche dal fatto del paziente. La prova del medico andrà fornita proprio dimostrando che egli ha osservato, nell’esecuzione della prestazione sanitaria, la diligenza normalmente esigibile da un medico in possesso del medesimo grado di specializzazione.

Il principio di diritto appena esposto è stato enunciato dalle Sezioni Unite con la storica sentenza 577/2008.

Il nucleo basilare dell’indagine sulla responsabilità colposa va individuato nel nesso di causalità, ovvero nella ricerca di precise connessioni tra la condotta e l’evento, oltreché nel concetto di evitabilità di quest’ultimo e della attitudine della norma e/o della regola disattesa a evitare in concreto il verificarsi del rischio.

Quanto alla prova del nesso di causalità e dunque della connessione causale tra l’azione o l’omissione del medico e il danno subito dal paziente, è stato chiarito che tale nesso andrà provato dal danneggiato.

Ai fini del relativo accertamento, in ambito civile vige il principio del “più probabile che non”, essendo sufficiente il 51% delle probabilità di incidenza causale tra la condotta e l’evento dannoso, mentre in ambito penale, date le conseguenze restrittive della libertà personale, vi è responsabilità penale solo se si accerti che, ove fosse stata posta in essere l’azione doverosa l’evento, quasi certamente, non si sarebbe verificato o si sarebbe verificato con minore intensità lesiva.

Infine, come noto, per essere considerata legittima l’attività medico-chirurgica necessita della acquisizione del consenso informato, salve le eccezioni previste dalla legge. Quanto al rapporto tra il consenso informato e la colpa è stato chiarito che il giudizio sulla sussistenza della colpa non presenta differenze di sorta a seconda che vi sia stato o no il consenso informato del paziente. Infatti l’acquisizione del consenso è finalizzata a tutelare il diritto alla salute e, soprattutto, il diritto alla scelta consapevole in relazione agli eventuali danni che possano derivare dalla scelta terapeutica in attuazione dell’art. 32 comma 2 Cost., e non ad evitare fatti dannosi prevedibili (ed evitabili).

Quindi, il consenso informato non integra una scriminante dell’attività medica poiché, espresso da parte del paziente a seguito di una informazione completa sugli effetti e le possibili controindicazioni di un intervento chirurgico, rappresenta solo un vero e proprio presupposto di liceità dell’attività del medico che somministra il trattamento, al quale non è attribuibile un generale diritto di curare a prescindere dalla volontà dell’ammalato. Ed infatti la mancata acquisizione di detto consenso come elemento di colpa è valutabile nella sola ipotesi in cui abbia impedito la conoscenza, da parte del medico, delle reali condizioni del paziente e, quindi, la possibilità di diagnosi complete e di adeguate scelte terapeutiche.