Il caso
Un cacciatore veniva condannato per aver messo un collare elettrico al proprio cane.
Il Tribunale di Siena condannava l’uomo alla pena di 2000 euro di multa per il reato di “maltrattamenti au danni dell’animale” giacché avendo applicato all’animale “un collare predisposto alla trasmissione di scosse elettriche, deteneva il proprio cane, che utilizzava per l’attività venatoria, in una condizione produttiva di gravi sofferenze”.
Il legale del cacciatore proponeva ricorso per cassazione focalizzando l’attenzione della Corte sul fatto che “il cane non ha riportato alcun segno di lesione sul collo e gode di ottima salute”.
Secondo il difensore la condotta tenuta dal suo cliente non è punibile penalmente tenuto in conto che “il modello di collare rinvenuto sull’animale può essere utilizzato anche per l’emissione di soli impulsi sonori e per la localizzazione dell’animale medesimo, sicché, in mancanza dell’accertamento di un pregiudizio concreto per il cane, difetta l’elemento oggettivo del reato, che non può essere integrato dalla mera applicazione del collare”.
I Giudici ritengono il ricorso fondato.
In particolare loro ribadiscono che “l’utilizzo del collare elettrico, che produce scosse o altri impulsi elettrici trasmessi al cane tramite comando a distanza, integra la contravvenzione di detenzione di animali in condizioni incompatibili con la loro natura e produttive di gravi sofferenze, poiché concretizza una forma di addestramento fondata esclusivamente su uno stimolo doloroso tale da incidere sensibilmente sull’integrità psicofisica dell’animale”.
La Suprema Corte ricorda che «la condotta vietata, oggetto di incriminazione, non è la mera apposizione del collare elettrico, bensì il suo effettivo utilizzo, nella misura in cui ciò provochi gravi sofferenze psico-fisiche» all’animale.
Nel caso di specie i carabinieri forestali si erano limitati a verificare che l’imputato stesse utilizzando il proprio cane “per l’attività venatoria” e che lo stesso indossasse due collari: “uno per il richiamo acustico e uno munito di due elettrodi in grado di dare piccole scosse a distanza grazie a un telecomando, che, nella specie, non venne rinvenuto”.
Secondo quanto accertato dai giudici di merito a seguito di “visita veterinaria, il cane fu trovato in buone condizioni di salute e senza segni cutanei all’altezza del collo, né furono accertate problematiche di udito cagionate, in ipotesi, dagli impulsi sonori”.
I Giudici ritengono illogico ravvisare “la sussistenza del reato unicamente dal fatto che il cane indossasse il collare elettrico, senza verificare che, tramite il suo concreto utilizzato, siano state cagionate all’animale “gravi sofferenze”.
Nella vicenda in esame è fondamentale ribadire che “il telecomando con cui azionare a distanza il collare non è stato trovato nella disponibilità dell’imputato” e che è accertata l’ “assenza sia di cicatrici sul collo del cane, sia di problematiche dell’udito: elementi che, ove presenti, sarebbero stati indicativi non solo del concreto utilizzato del collare, ma anche, e soprattutto, delle gravi sofferenze patite dall’animale quale conseguenza di quell’utilizzo”.
Con la sentenza n. 10758/21 del 19 marzo la Corte di Cassazione accoglie il ricorso e annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.