Messaggi WhatsApp hanno natura documentale

La Corte di Cassazione con la sentenza n. 1822 del 2020 ha ribadito un importante principio di diritto riguardante la natura giuridica dei messaggi whatsApp e la loro rilevanza probatoria.

Più nel dettaglio, il caso riguardava l’eccezione di nullità ed inutilizzabilità sollevata dalla ricorrente verso le comunicazioni telematiche registrate sulla memoria del suo telefono cellulare, acquisite mediante la riproduzione fotografica della schermata delle conversazioni tra l’imputato ed un possibile acquirente di sostanze stupefacenti.

Senza entrare nel merito dei fatti, in ordine a tale eccezione la Suprema Corte ha condiviso pienamente la posizione della Corte d’Appello, la quale, rigettando la stessa, attribuiva ai dati informatici acquisiti dalla memoria del telefono in uso all’indagata (sms, messaggi whatsApp, messaggi di posta elettronica “scaricati” e/o conservati nella memoria dell’apparecchio cellulare) natura di documenti ai sensi dell’art. 234 c.p.p. Con la conseguenza che la relativa attività acquisitiva non soggiace né alle regole stabilite per la corrispondenza, né tantomeno alla disciplina delle intercettazioni telefoniche.  (v. Sez. 5, n.1 822 del 21/11/2017; Sez. 3 n. 38681 del 26/04/2017) e pertanto sono utilizzabili nel processo. Deve, inoltre, evidenziarsi come ai messaggi WhatsApp e SMS rinvenuti in un telefono cellulare sottoposto a sequestro non sia applicabile la disciplina dettata dall’art. 254 c.p.p., in quanto tali testi non rientrano nel concetto di “corrispondenza”, la cui nozione implica un’attività di spedizione in corso o comunque avviata dal mittente mediante consegna a terzi per il recapito (Sez. 3, n. 928 del 25/11/2015).

Né, d’altra parte, può trattarsi degli esiti di un’attività di intercettazione, la quale postula, per sua natura, la captazione di un flusso di comunicazioni in corso, là dove i dati presenti sulla memoria del telefono acquisiti ex post costituiscono mera documentazione di detti flussi.

In applicazione di tale principio di diritto, nella specie, i messaggi rinvenuti nella memoria del telefono cellulare dell’imputato sono stati legittimamente acquisiti al processo ed utilizzati ai fini della decisione, giusta la loro natura documentale ex art. 234 c.p.p. e la conseguente acquisibilità con una qualunque modalità atta alla raccolta del dato (inclusa la riproduzione fotografica).