Entro dieci giorni dalla comunicazione del decreto di estinzione le parti possono chiedere alla Corte di pronunciarsi sulla controversia

Corte di Cassazione, sentenza n. 10661 del 07.03.2013

La Corte di Cassazione con la sentenza in esame ha precisato che l’accesso al gratuito patrocinio può decadere una volta che migliori la situazione patrimoniale dell’imputato. In questo caso la revoca non potrà riguardare però l’attività difensiva svolta nel periodo in cui le condizioni economiche erano compatibili con il beneficio ma avrà efficacia solo dal momento della cessazione di tali condizioni.

Corte di Cassazione, Sezioni Unite, sentenza n. 21853 del 05.12.2012

La Corte di Cassazione con la sentenza in esame ha precisato che “In materia di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente è legittimo demandare all’organo preposto all’esecuzione del provvedimento l’individuazione dei beni da sequestrare, senza che occorra ulteriore provvedimento del giudice all’atto di individuazione dei singoli beni”.
Per i giudici, infatti, “lo strumento della cautela mediante sequestro a garanzia di una prevedibile (secondo le uniformi indicazioni del fumus boni iuris e del periculum in mora) esposizione debitoria non fisiologicamente risolubile prescinde, anche nel processo civile, dall’individuazione dei singoli beni da vincolare a garanzia, occorrendo esclusivamente indicare l’ammontare pecuniario da garantire”.

Corte di Cassazione, sentenza n. 21725 del 04.12.2012

La Corte di Cassazione con la sentenza in esame ha precisato che non è risarcibile il presunto “danno al riposo” e al “benessere” avanzato da un avvocato che si doleva del fatto di aver dovuto lavorare per anni in una situazione di grave carenza organizzativa della giustizia a causa dei sistematici disservizi degli uffici di cancelleria e degli ufficiali giudiziari che lo avevano costretto a lavorare in condizioni di estremo disagio, sacrificando una “incalcolabile quantità di tempo, anche nei giorni festivi, per lo svolgimento di adempimenti che altri avrebbero dovuto compiere qualora vi fosse stato un normale funzionamento degli uffici”. Nulla da recriminare secondo la Corte di cassazione, sentenza 21725/2012, che ha respinto il ricorso del legale che aveva chiesto 458mla euro di danni al ministero della Giustizia.
Per la Suprema corte, che conferma la sentenza della Corte di Appello di Milano, l’avvocato essendo un libero professionista “può ben scegliere e decidere la quantità di impegni che è in grado di gestire in modo ragionevole”, insomma egli “può dosare … il giusto equilibrio tra lavoro e tempo libero”. E, dunque, ha poco pregio la doglianza del ricorrente secondo cui egli avrebbe perso un’ora e mezza al giorno. Tutto al più: “Gli esborsi che sarà chiamato a sostenere, anche in termini di sacrificio del proprio tempo libero, saranno posti, entro i limiti consentiti dalle tabelle professionali, a carico dei clienti che abbiano chiesto di avvalersi della sua opera”.

Corte di Cassazione, sentenza n. 21513 del 30.11.2012

La Corte di Cassazione con la sentenza in esame ha precisato che la liquidazione del rimborso forfetario per le spese generali a norma dell’articolo 14 della tariffa professionale forense, spetta in via automatica e con determinazione ex lege, cosicché deve ritenersi compreso nella liquidazione degli onorari e dei diritti nella misura del 10% di tali importi, anche senza espressa menzione nel dispositivo della sentenza. Lo ha stabilito la Corte respingendo un ricorso che lamentava una liquidazione inferiore ai minimi tariffari.
La Corte, in merito al diritto di “vacazione”, ha anche chiarito che in difetto di atti e verbali nei quali si appalesi l’ora di apertura e di chiusura, il diritto è dovuto per una sola vacazione, rispondendo così ad un quesito del ricorrente ha ribadito che si tratta di una voce afferente ad attività diversa dalla partecipazione alle udienze, per le quali vi è sempre riscontro.

Corte di Cassazione, sentenza n. 16924 del 04.10.2012

La Corte di Cassazione con la sentenza in esame ha precisato che ai fini della verifica della natura dell’atto introduttivo, ovvero se esso costituisca il primo atto di un nuovo procedimento, o piuttosto un atto di riassunzione, il giudice dovrà procedere “ad un attento esame del contenuto sostanziale dell’atto in tutto il suo contesto”, in modo da ravvisare una “inequivoca volontà di proseguire”, anche se non in via esplicita, il giudizio inizialmente promosso.
La Suprema corte ha anche chiarito che “a nulla rilevano le forme dell’atto di riassunzione previsto dall’articolo 50 Cpc, potendo lo stesso consistere in un atto di citazione per il principio di equivalenza delle forme”.

Tribunale di Torino, ordinanza del 15.07.2012

Il Tribunale di Torino con la sentenza in esame ha precisato che la parte riccorrente in un procedimento per ingiunzione può essere rimessa in termini al fine di rinnovare la notifica di un decreto ingiuntivo se dimostra di essere incorsa nella decadenza per causa a essa non imputabile. Lo ha deciso il tribunale di Torino con un’ordinanza di rimessione in termini ex articolo 153, comma 2, del codice di procedura civile, che ha concesso un nuovo termine di 60 giorni per la notifica, con decorrenza dalla data della comunicazione dell’ordinanza stessa.

Corte di Cassazione, sentenza n. 10053 del 19.06.2012

La Corte di Cassazione con la sentenza in esame ha precisato che l’ammissione al gratuito patrocinio nel processo civile, non comporta che siano a carico dello Stato le spese che l’assistito sia condannato a pagare all’altra parte risultata vittoriosa, perché gli onorari e le spese sono solo quelli dovuti al difensore della parte ammessa al beneficio, che lo Stato, sostituendosi alla stessa parte si impegna ad anticipare, in considerazione delle sue precarie condizioni economiche e della non manifesta infondatezza delle relative pretese.

Corte di Cassazione, sentenza n. 9241 del 12.06.2012

La Corte di Cassazione con la sentenza in esame ha precisato che la condotta non impeccabile dell’amministratore giudiziario, ininfluente sul merito, fa scattare la compensazione delle spese processuali
La condotta non impeccabile ascrivibile alla parte in causa, risalente ai fatti oggetto di causa, può risultare non influente sul merito dalla decisione ma contestualmente può pesare sulla decisione equitativa del giudice di compensare le spese processuali.

Corte di Cassazione, sentenza n. 8283 del 24.05.2012

La Corte di Cassazione con la sentenza in esame ha precisato che un giudizio “Pinto” svoltosi in due gradi di giudizio non deve superare la durata di 2 anni. Lo ha stabilito la Corte accogliendo un ricorso di un cittadino contro il ministero della Giustizia.
Secondo i giudici “ove, come nel caso di specie, venga in rilievo un giudizio Pinto svoltosi anche davanti alla Corte di cassazione, la durata complessiva dei due gradi debba essere ritenuta ragionevole ove non ecceda la durata dei due anni, ritenendosi tale termine pienamente compatibile con le indicazioni desumibili dagli ultimi approdi della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo e rispondente sia alla natura meramente sollecitatoria del termine di quattro mesi di cui all’articolo 3, comma 6, della legge 80 del 2001, sia della durata ragionevole del giudizio di cassazione che, anche in un procedimento di equa riparazione, non è suscettibile di compressione oltre il limite più volte ritenuto ragionevole di un anno”.

Corte di Cassazione, sentenza n. 1371 del 31.01.2011

La Corte di Cassazione con la sentenza in esame ha precisato che “Qualora (in primo grado) il giudice abbia distratto in favore dell’avvocato le spese processuali riconosciute alla parte vittoriosa che l’avvocato rappresenta, l’avvocato, in proprio, non è contraddittore necessario nel processo (d’appello), in cui viene impugnata – anche, eventualmente, in riferimento all’entità delle spese – la suddetta sentenza, e, conseguentemente, non è nulla la sentenza pronunciata senza che il suddetto contraddittorio sia stato instaurato”. Il principio di diritto è stato fissato dalla Corte di cassazione, sentenza 1371/2012, respingendo il ricorso della parte vittoriosa in primo grado che però in appello era stata condannata alla restituzione di tutte le somme versate e anticipate agli avvocati dichiaratasi antistatali. Secondo i ricorrenti l’atto di appello contente indicazioni anche sulle spese avrebbe dovuto essere notificato anche agli avvocati, configurando una ipotesi di litisconsorzio necessario. Una tesi bocciata dalla Suprema corte. La vicenda riguardava la richiesta di risarcimento del danno conseguente a un sinistro stradale

Corte di Cassazione, sentenza n. 26466 del 09.12.2011

La Corte di Cassazione con la sentenza in esame ha precisato che la parte che vince la causa non può essere costretta a pagare parte delle spese processuali solo perché il magistrato ritiene di compensarle per “motivi di opportunità”. Lo ha affermato la sesta sezione civile della Cassazione secondo la quale si tratta di una motivazione solo apparente. Invece, ha spiegato il collegio, ogni volta che si dispone la compensazione è necessario un adeguato supporto motivazionale, con il limite che le spese non possono mai essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa.

Corte di Cassazione, Sezioni Unite, sentenza n. 24906 del 25.11.2011

La Corte di Cassazione con la sentenza in esame ha precisato che va qualificata come controversia in materia contrattuale quella tra due soggetti che si pongono l’un l’altro come due consociati non relazionati reciprocamente, ma come soggetti che hanno già instaurato un rapporto di natura commerciale dal quale ognuno attende che l’altro non ne abusi ma al contrario tenga un determinato comportamento.
Per queste ragioni la Suprema corte ha ritenuto che la domanda proposta dalla società in liquidazione, che appunto lamentava l’abuso di posizione dominante da parte della società fornitrice, non attiene alla responsabilità aquiliana ma fondandosi su di una pretesa di abuso di dipendenza economica e cioè di eccessivo squilibrio di diritti e di obblighi negli esistenti rapporti commerciali regolati da un contratto, ai fini della determinazione della competenza giurisdizionale, rientra nella materia contrattuale.
Sulla base di queste considerazioni operando la clausola della proroga della giurisdizione la competenza anche su questa materia è del tribunale di Ginevra dove ha sede la società convenuta. Ragion per cui la Cassazione ha dichiarato l’incompetenza del giudice italiano.

Corte di Cassazione, sentenza n. 23757 del 14.11.2011

La Corte di Cassazione con la sentenza in esame ha precisato che il ricorso per cassazione non può essere integrato con un nuovo atto che contenga i quesiti di diritto mancanti. Lo ha confermato la terza sezione civile della Cassazione secondo la quale il ricorso alla Suprema corte deve essere proposto a pena di inammissibilità con un unico atto avente i requisiti di forma e contenuto indicati “dalla pertinente normativa di rito, ivi compresi quelli richiamati dall’art. 366-bis cod. proc. civ.”. Ne consegue che non è idoneo a integrare i requisiti richiesti un nuovo atto, successivamente notificato a modifica o integrazione dell’originario ricorso, “sia che concerna l’indicazione dei motivi, sia che tenda a colmare la mancanza degli elementi prescritti, quali la formulazione dei quesiti o l’esposizione dei fatti in causa o la sintesi della questione di motivazione relativamente al fatto controverso”, essendo solo possibile, ove non siano decorsi i termini, proporre un nuovo ricorso completamente sostitutivo del primo.

Corte di Cassazione, sentenza n. 23209 del 09.11.2011

La Corte di Cassazione con la sentenza in esame ha precisato che l’atto di riassunzione può essere notificato a mezzo del servizio postale, applicandosi di conseguenza le regole generali quanto al conteggio dei termini e risultando, quindi, tempestivo l’atto consegnato in termini al servizio postale, seppure poi pervenuto all’ufficio termine ormai scaduto”. Lo ha stabilito la Corte di cassazione, ordinanza 8 novembre 2011 n. 23209, accogliendo il ricorso di un cittadino a cui era stato contestato proprio il superamento dei termini per la riassunzione, per un ricorso relativo ad una infrazione del codice della strada.
Per la Corte la pronuncia di incompetenza del giudice di pace di Squillace, pubblicata il 14 giugno 2007, e la riassunzione presso il giudice dichiarato competente, e cioè il giudice di pace di Rossano, fu effettuata con comparsa affidata al servizio postale in data 9 agosto 2007, e dunque “ampiamente nei termini fissati per la riassunzione”.

Corte di Cassazione, sentenza n. 19122 del 20.09.2011

La Corte di Cassazione con la sentenza in esame ha precisato che la mancata notifica della sentenza alla parte divenuta maggiorenne nel corso del procedimento non fa decorrere il termine breve per l’impugnazione, con la possibilità dunque per la parte che ha compiuto i diciotto anni di impugnare la sentenza nel termine di un anno.
Mentre, la sopravvenuta maggiore età, non rilevata dal giudice, e dunque la prosecuzione del giudizio nei confronti dei genitori non comporta una lesione del contraddittorio nei confronti dell’ex minore, con conseguente nullità della notifica della sentenza ai genitori. Infatti, “la rappresentanza processuale del minore non cessa automaticamente allorché questi diventi maggiorenne ed acquisti, a sua volta, la capacità processuale, rendendosi necessario che il raggiungimento della maggiore età sia reso noto alle altre parti mediante dichiarazione, notifica, o comunicazione di un atto del processo. Tale principio dell’ultrattività della rappresentanza opera – tuttavia – soltanto nell’ambito della stessa fase processuale, attesa l’autonomia dei singoli gradi di giudizio”.
Il caso era quello di un bambino investito da una bicicletta mentre camminava in una zona pedonale del comune di Barletta. La Cassazione ha cassato la sentenza di appello che rigettava il ricorso delle parti per ottenere il risarcimento del danno rinviando il giudizio alla medesima Corte in diversa composizione. Per i Supremi giudici infatti la Corte territoriale avrebbe omesso di considerare che il comandante dei vigili urbani nella propria deposizione aveva dichiarato di non essere certo che quella sera tutte le strade di accesso alla zone pedonale fossero transennate. E se così fosse, si ricadrebbe nella fattispecie prevista dall’articolo 2051 del Cc che sanziona il danno cagionato dalle cose in custodia, salvo il caso fortuito.

Corte di Cassazione, sentenza n. 17876 del 31.08.2011

La Corte di Cassazione con la sentenza in esame ha precisato che non è legittimato all’opposizione di terzo all’esecuzione, secondo quanto previsto dall’articolo 619 del codice di procedura civile, l’affittuario di una azienda che comprenda i beni mobili oggetto della procedura espropriativa. Lo ha stabilito la Corte di cassazione con la sentenza in oggetto, accogliendo il ricorso di Equitalia contro una azienda di Ivrea che si era opposta all’esecuzione mobiliare esattoriale, avente ad oggetto beni mobili dell’azienda stessa, ad opera di Uniriscossioni in danno della società che aveva fittato l’azienda per imposte e contributi non pagati per un totale di 500mila euro.
Locazione e comodato non sono infatti “titoli giuridicamente idonei a legittimare il diritto allegato dal terzo”. Per tali contratti la tutela “è allora meramente obbligatoria” e può essere invocata “esclusivamente nei confronti del dante causa, con le opportune azioni concesse appunto per la limitazione, la compressione, la soppressione delle possibilità di godimento del bene oggetto dell’obbligazione pattiziamente assunta”.

Corte di Cassazione, sentenza n. 15710 del 18.07.2011

La Corte di Cassazione con la sentenza in esame ha precisato che è inutilizzabile per il ricorso in Cassazione la procura rilasciata al legale nel giudiziio di merito. Lo ha chiarito la terza sezione civile della Cassazione secondo la quale il ricorso diretto alla Corte deve essere sottoscritto, a pena d’inammissibilità, da un avvocato iscritto nell’apposito albo e munito di procura speciale. Ciò significa, ha chiarito la sentenza, che la procura è valida solo se rilasciata in data successiva alla sentenza impugnata, rispondendo tale prescrizione all’esigenza, coerente con il principio del giusto processo, di assicurare la certezza giuridica della riferibilità dell’attività svolta dal difensore al titolare della posizione sostanziale controversa. Ne consegue che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, qualora la procura sia conferita a margine di un atto del giudizio di merito.

Corte di Cassazione, Sezioni Unite, sentenza n. 8491 del 14.04.2011

La Corte di Cassazione a Sezioni Unite con la sentenza in esame ha precisato che è la citazione la forma ordinaria di impugnazione delle delibere condominiali e non il ricorso, come si legge all’articolo 1137 del codice civile. Infatti, il termine “ricorso” viene utilizzato dal legislatore in modo “atecnico” e non va dunque inteso in senso letterale. Ad ogni modo, la domanda è valida anche in questo caso, e anche se nei trenta giorni previsti l’atto è stato presentato solo al giudice e non notificato. Lo hanno stabilito le Sezioni unite della Corte di cassazione con la sentenza 8491/2011, risolvendo un lungo contrasto giurisprudenziale.

Corte di Cassazione, Sezioni Unite, sentenza n. 13626 del 05.04.2011

La Corte di Cassazione con la sentenza in esame ha precisato che in un processo che doveva stabilire la partecipazione degli imputati a un’associazione finalizzata allo spaccio di stupefacenti le sezioni unite della Cassazione sono state chiamate a stabilire “se in assenza di una espressa dichiarazione di conservazione di efficacia del provvedimento che accoglie la dichirazione di astensione o di ricusazione , gli atti compiuti in precedenza dal giudice astenutosi o ricusato possano essere utilizzati”. Dopo aver analizzato in dettaglio le ragioni dei due orientamenti contrastanti le sezioni Unite hanno scelto l’orientamento prevelente che prevede l’inutilizzabilità degli atti. Con le sentenza in oggetto i magistrati di legittimità hanno infatti stabilito il seguente principio di diritto: “in assenza di una espressa dichiarazione di conservazione di efficacia degli atti nel provvedimento che accoglie la dichiarazione di astensione o di ricusazione, gli atti compiuti in precedenza dal giudice astenutosi o ricusato debbono considerarsi inefficaci”. Le sezioni unite hanno inoltre stabilito che “la dichirazione di inefficacia degli atti può essere sindacat, nel contradditorio tra le parti, dal giudice della cognizione, con conseguente eventuale utilizzazione degli atti medesimi

Corte di Cassazione, sentenza n. 11542 del 23.03.2011

La Corte di Cassazione con la sentenza in esame ha precisato che se cambia il giudice le dichiarazioni dei testi già auditi sono utilizzabili nel procedimento soltanto se vi è il consenso di tutte le parti. Inoltre, l’onere della citazione grava sulla parte che originariamente ne aveva chiesto l’assunzione. Lo ha stabilito la Corte di cassazione con la sentenza del 23 marzo 2011 n. 11542 che ha annullato la condanna per danneggiamento aggravato emessa dalla Corte di appello di Palermo, rinviando ad altro giudice per un nuovo giudizio. Gli ermellini, in conclusione, hanno enunciato il seguente principio di diritto: “in caso di mutamento del giudice, le dichiarazioni dei testi assunti dal precedente giudice, non sono utilizzabili ove una delle parti si opponga alla lettura. In tal caso, l’onere della citazione dei suddetti testi, nonostante il consenso alla lettura prestato dalle restanti parti, spetta alla parte che aveva originariamente chiesto l’ammissione dei suddetti testi. Di conseguenza, – proseguono i giudici – ove la parte che non ha prestato il proprio consenso alla lettura venga onerata della citazione dei suddetti testi, legittimamente può rifiutarsi di citarli e il giudice non può dare lettura delle dichiarazioni rese davanti al precedente giudice, dovendo porre l’onere della citazione a carico della parte che originariamente aveva richiesto l’ammissione dei testi”.

Corte di Cassazione, sentenza n. 5300 del 11.02.2011

La Corte di Cassazione con la sentenza in esame ha precisato che evita il reato di violenza o minaccia chi dà effettivamente corso all’azione civile, anche se è animato da ragioni del tutto strumentali rispetto al (presunto) diritto vantato. E ciò perché l’intervento del giudice terzo spezza ogni collegamento fra l’esito e la discrezionalità di chi agisce, mentre il sistema giudiziario ormai attivato ha in sé rimedi specifici contro l’azione temeraria, specie dopo la riforma del processo civile. Chi si limita a minacciare il ricorso all’azione giudiziaria, civile o penale, prospetta all’interlocutore una conseguenza negativa che in qualche modo resta nella discrezionalità dell’agente. Mentre chi effettivamente passa all’azione (giudiziaria) si assume la responsabilità che scaturisce dall’aver messo in moto la macchina della giustizia (per quanto lenta); senza dimenticare che i rimedi contro la lite temeraria possono essere messi in campo anche d’ufficio dal magistrato, senza richiesta del convenuto (o del denunciato).
È vero: in Italia ci sono i processi-lumaca e il solo dover andare a difendersi nelle aule di giustizia comporta spese ingenti. Insomma: il danno c’è tutto quando si è trascinati in tribunale per difendersi da un’azione che è totalmente strumentale. Secondo i giudici con l’ermellino, tuttavia, l’ordinamento ha già in sé i mezzi per rimediare. Prendiamo, nel penale, il caso della denuncia manifestamente infondata rivolta contro il pubblico ufficiale (come può essere anche il consulente dell’autorità giudiziaria): quando è configurabile il delitto di calunnia, scatta subito l’obbligo di trasmissione degli atti. Veniamo al civile: grazie alla legge 69/2009, nel caso di condanna alle spese di giudizio della parte soccombente, il giudice può condannare chi ha soltanto fatto perdere del tempo alla giustizia a pagare alla controparte di una somma determinata in via equitativa. Va quindi esclusa ogni rilevanza penale della condotta

Selezione e raccolta da parte dello Studio Legale Parenti delle Massime Giurisprudenziali di maggior attualità tra le ultime pronunce dei giudici di legittimità e di merito nella categoria Diritto Processuale Civile.

Tribunale di Varese, sentenza n. 98 del 22.01.2011

Il Tribunale di Varese con la sentenza in esam ha precisato che va sanzionata ai sensi dell’articolo 96, comma III, del codice di procedura civile come introdotto dalla legge 69/2009: l’opposizione pretestuosa al decreto ingiuntivo costa all’attrice ben diecimila euro.
Il motivo? Ha abusato dello strumento processuale per il semplice fatto di essere nel bel mezzo di una separazione litigiosa con il marito, causando un danno indiretto all’erario. Peccato che le liti temerarie siano ora punibili “d’ufficio” per evitare che il ricorso al tribunale anche per futili motivi rallenti l’intera “macchina giudiziaria” e faccia lievitare i risarcimenti dovuti per l’irraggionevole durata dei procedimento ex lege Pinto. Il tribunale di Varese, nella sentenza 98/2011, ha condannato quindi l’opponente al rimborso delle spese del giudizio e a «una pena pecuniaria in favore della controparte».

Corte di Cassazione, Sezioni Unite, sentenza n. 25982 del 22.12.2010

La Corte di Cassazione con la sentenza in esame ha precisato che se il privato lamenta un pregiudizio del suo diritto alla salute causato dalla cattiva manutenzione di aree da parte del Comune la causa è devoluta al giudice ordinario. Lo hanno affermato le sezioni Unite civili della Cassazione con la sentenza in esame secondo la quale in caso di inosservanza da parte della pubblica amministrazione, nella sistemazione e manutenzione di aree o beni pubblici, dei comuni canoni di diligenza e prudenza, ricorre la giurisdizione del giudice ordinario. Anche la manutenzione di beni pubblici, infatti, deve adeguarsi alle regole di prudenza e diligenza, prima tra tutte quelle del neminem laedere prevista dall’articolo 2043 del codice civile, in applicazione del quale la pubblica amministrazione è tenuta a far sì che il bene pubblico non sia fonte di danno per il privato.

Corte di Cassazione, sentenza n. 44642 del 20.12.2010

La Corte di Cassazione con la sentenza in esame ha precisato che il dispositivo letto in aula prevale sempre sulla motivazione, oggetto di una stesura successiva. Lo ha sancito la Corte di cassazione che, con la sentenza in oggetto ha fatto chiarezza su un punto particolarmente controverso i giurisprudenza. Con questa interessante pronuncia destinata alla massimazione ufficiale, la sesta sezione penale del Palazzaccio ha chiarito che in caso di dispositivo letto in esito alla discussione, con separata e successiva stesura della motivazione (motivazione quindi non letta in unitario contesto alla pubblicazione del dispositivo) il contenuto “del dispositivo prevale sempre e comunque, ogni qual volta esso non si appalesi intrinsecamente incoerente ovvero non presenti delle parziali omissioni nelle singole determinazioni che conducono alla determinazione della pena che risulta positivamente irrogata, omissioni non colmabili con automatismi ricavabili dall’applicazione al caso concreto della disciplina generale”.

Corte di Cassazione, sentenza n.43993 del 14.12.2010

La Corte di Cassazione con la sentenza in esame ha precisato che condizione imprescindibile per la correzione di un errore materiale contenuto nel dispositivo di una sentenza è che la sua elimitazione non deve comportare una modifica essenziale dell’atto. L’occasione per il chiarimento è arrivato alla Suprema corte dall’esame di un caso in cui la corte d’Appello di Potenza era intervenuta per modificare il dispositivo di una decisione, specificando in motivazione che era intervenuta una prescrizione del reato in modo da escludere un’assoluzione nel merito. I giudici di secondo grado non si erano però limitati all'”integrazione” ma avevano anche aggiunto la frase “conferma le statuizioni civili”. Un’iniziativa bollata dai giudici di piazza Cavour come “modificazione essenziale” dell’atto. Secondo gli ermellini alla notizia della improcedibilità dell’azione penale per sopravvenuta prescizione del reato, si era aggiunta la distinta e ulteriore decisione sull’azione civile del risarcimento del danno. Una scelta che doveva basarsi su specifici elementi probatori.

Corte di Cassazione, sentenza n. 22001 del 27.10.2010

La Corte di Cassazione con la sentenza in esame ha precisato che la competenza a decidere sulle controversie inerenti il mantenimento dei figli spetta sempre al tribunario ordinario. Anche qualora la misura riguardi il contributo necessario per i figli di conviventi. Con la sentenza in oggetto, la Suprema Corte ha cassato la pronuncia declinatoria del tribunale ordinario di Roma: il procedimento, spiegano i giudici nella parte motiva della pronuncia, è introdotto da uno dei genitori in nome proprio e non in rappresentanza del figlio minore sul quale esercità la potestà. La lite, quindi, è tra due soggetti maggiorenni e ha come “causa petendi” la comune qualità di genitori e come “petitum” il contributo che l’uno deve versare all’altro in adempimento dell’obbligo di mantenimento del figlio. La riforma introdotta dalla legge n. 54/2006 non lascia spazio all’ipotesi di un principio generale di unificazione delle competenze in materia di conflitti familiari che sia pure invocato dalla dottrina – scrivono i giudici i legittimità non ha finora trovato il consenso del legislatore.

Corte di Cassazione, Sezioni Unite, sentenza n. 19509 del 14.09.2010

L’impugnazione è validamente notificata al procuratore costituito di una società anche se questa, dopo la chiusura della discussione, si è distinta per incorporazione. Lo ha stabilito la Cassazione a sezioni Unite con la sentenza n. 19509, che ha risolto un contrasto sull’interpretazione delle norme sulla fusione anteriori alle modifiche introdotte dal Dlgs 6/2003. Secondo il collegio di legittimità nel caso in cui l’impugnante non abbia avuto conoscenza dell’evento modificatore della capacità della persona giuridica, mediante notifica, l’impugnazione può essere notificata al procuratore costituito.

Corte di Cassazione, Sezioni Unite, sentenza n. 19246 del 9.9.2010

La tardiva costituzione nei giudizi di opposizione a decreto ingiuntivo è equiparabile alla mancata costituzione e comporta l’improcedibilità del ricorso. Lo hanno ribadito le sezioni Unite civili della Cassazione con la sentenza 19246/2010 che ha anche chiarito che quando l’opponente si è avvalso della facoltà di indicare un termine di comparizione inferiore a quello ordinario, il termine per la sua costituzione è automaticamente ridotto a cinque giorni dalla notificazione dell’atto di citazione in opposizione, pari alla metà di quello ordinario. Un’abbreviazione per l’opponente, spiegano i giudici, che consegue automaticamente al fatto obiettivo della concessione all’opposto di un termine inferiore a quello ordinario.

Corte di Cassazione, Sezioni Unite, sentenza n. 19051 del 06.09.2010

Le Sezioni Unite con la sentenza in esame hanno precisato che se al momento della pronuncia la decisione si presenta conforme alla giurisprudenza della Corte, il ricorso della parte deve essere dichiarato manifestamente infondato e non inammissibile come prevede il codice di procedura dopo la riforma del processo civile attuata con la legge n. 69 del 2009. Una previsione, quella della manifesta infondatezza che lascia maggiori margini di manovra ai giudici – i quali possono entrare nel merito della vicenda – e che però rischia di compromettere l’efficacia deflattiva della misura voluta dal legislatore. La Suprema corte, infatti, secondo il collegio può fare riferimento allo stato della giurisprudenza solo al momento della decisione della controversia e non a quello della proposizione del ricorso in Cassazione.

Corte di Cassazione, sentenza n. 32213 del 23.08.2010

E’ irregolare la notifica al difensore d’ufficio quando il cittadino ha eletto domicilio presso una casella postale. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, con la sentenza 32213 del 23 agosto 2010, destinata al servizio novità accogliendo il ricorso presentato da una donna contro la sentenza con la quale la Corte d’appello di Firenze aveva confermato la condanna inflittale dal Tribunale di Pistoia per il delitto di falsa testimonianza. Alla donna, che non avendo fissa dimora, aveva eletto il proprio domicilio presso una casella postale, non era stato notificato in tale luogo l’atto di citazione in giudizio d’appello, poiché l’ufficiale giudiziario aveva ritenuto non prevista la notifica presso una casella postale e si era perciò provveduto alla comunicazione presso la sede del difensore d’ufficio. Decidendo definitivamente sulla questione, il Collegio di legittimità ha invece accolto il ricorso dell’imputata, ricordando intanto che le precedenti citazioni in primo grado erano state recapitate senza problema presso il domicilio eletto, e inoltre che la funzione della casella postale proprio quella di dare un servizio di domiciliazione della corrispondenza dedicato, in modo particolare, ai clienti che necessitano di riservatezza e comodità di ritiro.

Corte di Cassazione, sentenza n. 18670 del 13.08.201

Sul ricorso contro il verbale che sanziona il proprietario che si rifiuta di comunicare le generalità del conducente al momento dell’infrazione decide il giudice del luogo in cui ha sede la polizia municipale che ha emesso il verbale. Si tratta infatti di una violazione che si consuma nel posto in cui avrebbe dovuto pervenire la comunicazione dei dati di chi era alla guida. Lo ha stabilito la Corte di cassazione nella sentenza in oggetto, accogliendo il ricorso del Comune di Parma contro la sentenza del giudice di pace di Nocera Terinese, piccolo comune vicino Catanzaro, che aveva accolto l’opposizione a un verbale di accertamento della polizia municipale di Parma nei confronti di un uomo, per un’infrazione commessa sul suo territorio. Il comune emiliano contestava la competenza territoriale del giudice di pace calabrese, eccezione accolta dalla seconda sezione civile della Suprema Corte che, richiamando un precedente del 2007, ha affermato che “è territorialmente competente a decidere l’opposizione avverso il verbale di contestazione della violazione dell’art. 126 bis, comma secondo, cod. strada, sanzionante il proprietario del veicolo che senza giustificato motivo non comunichi nel termine previsto le generalità del conducente al momento della commessa infrazione, il giudice del luogo dove ha sede l’organo di polizia procedente, giacchè l’infrazione si consuma nel luogo in cui avrebbe dovuto pervenire la comunicazione che è stata omessa”.

Corte di Cassazione, sentenza n. 17771 del 16.07.2010

Con la sentenza in oggetto la Corte di Cassazione ha stabilito che la sola citazione in giudizio del magistrato per responsabilità extracontrattuale in un procedimento pendente tra il giudice e il difensore della parte non è idonea a qualificare il giudice come debitore del difensore. La Corte ha in fatti precisato che questa circostanza non può costituire legittima causa di ricusazione. Secondo la ricostruzione della vicenda, la terza sezione penale ha rigettato il ricorso di un avvocato pugliese, il quale aveva fatto istanza di ricusazione dal momento che tra i due pendeva un procedimento civile in merito ad alcuni debiti. Avendo poi l’avvocato eccepito l’incostituzionalità dell’art. 36 del codice penale (nella parte in cui non prevede la ricusazione, oltre che nel caso di grave inimicizia tra il giudice e la parte, anche nell’ipotesi di grave inimicizia tra il giudice e il difensore) la Corte ha poi dichiarato la manifesta infondatezza della questione, precisando che il legislatore ha voluto che la decisione di rifiutare di sottoporsi al giudizio del giudice precostituito deve essere assunta direttamente dalla parte che tema di riceverne un pregiudizio, dopo aver valutato personalmente, anche con l’ausilio ed il consiglio del difensore, l’opportunità dell’atto di ricusazione. Inoltre, il solo rapporto di ostilità era giudice e parte, costituisce serio ed univoco pericolo per la serenità di interferenza ed imparzialità del giudizio. La diversa e meno pregnante possibilità di interferenza dannosa derivabile da analogo rapporto di inimicizia ed ostilità tra giudice e difensore, potrebbe, tutt’al più può essere rilevato in astratto ai fini dell’ipotesi di gravi ragioni di convenienza obbliganti il giudice all’stensione, se sussistente.

E’ quanto Corte di Cassazione, sentenza n. 9040 del 30.07. 2010

La Corte di Cassazione con la sentenza in esame ha precisato che l’art. 2054 che nel secondo comma prevede la presuzione di un concorso di colpa nel caso di scontro tra veicoli non preclude al magistrato di “graduare, anche in caso di concorso di responsabilità le percentuali imputabili a ciascun conducente in misura diversa da quella paritetica”. In particolare la Corte specificando che principio vale anche quando “non sia provato che il concorrente […] abbia fatto tutto il possibile per evitare lo scontro” ove il giudice “concluda che la responsabilità del conducente dell’altro mezzo sia comunque prevalente in relazione alle positive risultanze processuali”.

Corte di Cassazione, sentenza n. 17903 del 30.07.2010

La Corte di Cassazione con la sentenza in esame ha riconosciuto che la moglie che intenda chiedere l’assegno di mantenimento al marito possa notificare il ricorso per la modifica delle condizioni di separazione anche presso il luogo di lavoro del marito. Nel caso in esame la donna aveva notificato il ricorso, finalizzato da ottenere una modifica delle condizioni di separazione, presso il luogo di lavoro del marito, che risultava ancora residente presso l’abitazione coniugale assegnata alla ricorrente. I marito non si costituiva e proponeva appello avverso la sentenza che disponeva le modifiche. L’appello veniva accolto per nullità della notifica. I giudici di secondo grado rilevano come la notifica possa essere fatta alternativamente presso la residenza o presso il luogo di lavoro solo se questi sono posti nello stesso comune. Diversamente si impone prima la notifica presso la residenza, e dove questa non sia possibile, presso il luogo di lavoro. La Suprema Corte, a seguito di ricorso presentato dalla signora , ha ritenuto di non poter accogliere tale tesi in quanto la moglie, assegnataria della abitazione coniugale era ben a conoscenza dell’inutilità della prima notifica. Secondo i giudici di legittimità il concetto di Comune dimora, di cui all’art 139 ultimo comma cpc, deve essere enucleato tenendo presente la ratio che sottende alla normativa in oggetto ,che mira a rendere possibile la notifica, nel caso in cui non sia noto e conoscibile il Comune di residenza, in luoghi in cui sia riscontrabile una relazione tra il soggetto notificando e il luogo stesso. Cosa che deve ritenersi per il luogo in cui viene svolta l’attività di lavoro subordinata.

Corte di Cassazione, Sezioni Unite, sentenza n. 16037 del 07.07.2010

La Corte di Cassazione a Sezioni Unite ha precisato che in caso di omessa pronuncia sulle spese processuali si può rimediare con il procedimento di correzione di errori materiali: si tratta infatti di una dimenticanza in relazione all’adozione di un provvedimento sul quale il giudice non può di norma, esercitare alcun sindacato, con l’applicabilità in sede di legittimità dello stesso procedimento come richiamato dall’art. 391 bis dello stesso codice di rito. Con la sentenza suindicata, la Corte, investati della questione circa i rimedi processuali esperibili in caso di omessa pronuncia del giudice sull’istanza di distrazione delle spese processuali, ha infatti precisato che l’omissione non può essere sanata con ricorso alla Suprema Corte ma con un semplice procedimento di correzioni di errori materiali

Corte di Cassazione, sentenza n. 27088 del 10.07.2010

La Corte di Cassazione con la sentenza in esame ha precisato che l’ avvocato non può invocare la nullità nel caso in cui l’avviso dell’udienza indichi una data sbagliata, antecedente a quella effettiva, se poi non si presenta comunque in tribunale. La Corte di Cassazione con la sentenza in esame, decidendo il caso di un legale di Catanzaro che aveva ricevuto, dal cancelliere, un telegramma in cui era indicato il giorno erroneo, ma era stato dallo stesso avvertito telefonicamente della data esatta. Il legale aveva eccepito la nullità assoluta per omesso avviso al difensore della fissazione dell’udienza, dal momento che il telegramma, seguito alla comunicazione telefonica, indicava la data d’udienza due giorni prima quella effettiva. I giudici di legittimità hanno però respinto l’eccezione del difensore, sottolineando che l’avvocato non si era presentato in udienza il giorno corrispondente a quello sbagliato indicato nel telegramma. La sesta sezione penale ha quindi stabilito che “in un corretto ed equilibrato rapporto processuale, il difensore, a fronte di due difformi comunicazioni dell’ufficio giudiziario riguardanti la data in cui è stata fissata l’udienza, la prima percepita personalmente per contatto verbale-uditivo con il cancelliere, ed un’altra diversa e successiva, desunta dal tenore del telegramma (pur escludendo un suo dovere di attivarsi per chiarire nel modo per agevole con il cancelliere la ragione della difformità delle due comunicazioni dell’ufficio), ha due diverse alternative:a) dare rilievo alla comunicazione successiva (quella del telegramma); b) attribuire valore prevalente alla comunicazione verbale del cancelliere, direttamente percepita”. L’avvocato calabrese, non essendosi presentato il giorno fittizio, non rientrava in nessuna delle due ipotesi.

Corte di Cassazione, sentenza n. 17204 del 21.07.2010

La Corte di Cassazione con la sentenza in esame ha precisato che l’omessa sottoscrizione della sentenza da parte del giudice estensore determina la nullità assoluta e insanabile del provvedimento e può essere rilevata anche d’ufficio. Per la Corte in assenza di un impedimento del magistrato regolarmente menzionato nel provvedimento, la sentenza senza sottoscrizione dell’estensore si deve considerare sempre nulla e l’invalidità può essere rilevata dal giudice.

Corte di Cassazione, sentenza n. 16010 del 07.07.2010

La Corte di Cassazione con la sentenza in esame ha preicsato che sono legittime le decisioni del giudice fondate su consulenze redatte in un altro processo, e non acquisite ritualmente nella causa in corso. Il caso riguarda l’attribuzione di responsabilità per un’infiltrazione di acqua nel box auto. Il Giudice di pace di Napoli, aveva dichiarato la colpa del Condominio e lo aveva condannato al pagamento di una somma in via equitatativa. Contro questa decisione il Condominio aveva presentato ricorso in cassazione dichiarando la violazione del proprio diritto di difesa, poiché il giudice, in fase di decisione, si era basato, su una consulenza tecnica d’ufficio redatta in un altro processo. Respingendo il ricorso, gli Ermellini hanno riaffermato invece il principio di diritto secondo cui “il giudice e libero di utilizzare, per la formazione del suo convincimento, anche prove raccolte in un diverso processo, – tra le stesse parti o tra altre parti – le quali possono valere come semplici indizi, atti a fornire elementi indiretti e concorrenti di giudizio, ed essere complessivamente valutabili nel procedimento logico induttivo e presuntivo per l’accertamento del fatto controverso”.

Corte di Cassazione, sentenza n. 15811 del 02.07.2010

La Corte di Cassazione con la sentenza in esame ha precisato che il cambio di orientamento giurisprudenziale dopo il deposito del ricorso per cassazione non deve penalizzare la parte istante. Per questo motivo il ricorrente deve essere rimesso in termini. Lo ha stabilito la seconda sezione civile della Cassazione con l’ordinanza interlocutoria in esame secondo la quale nel rispetto del giusto processo va escluso che abbia rilevanza preclusiva l’errore della parte la quale abbia fatto ricorso per cassazione facendo affidamento su una consolidata giurisprudenza di legittimità sulle norme regolatrici del processo, successivamente travolta da un mutamento di orientamento interpretativo, e che la sua iniziativa possa essere dichiarata inammissibile o improcedibile in base a forme e termini il cui rispetto, non era richiesto al momento del deposito dell’atto d’impugnazione.

Corte di Cassazione,Sezioni Unite, sentenza n. 6999 del 24.03.2010

La Corte di Cassazione, con la sentenza in esame ha precisato che i seri problemi di salute del magistrato non giustificano il ritardo nel deposito delle sentenze. Infatti, quando la mancanza di puntualità sistematica e risalente nel tempo scatta in ogni caso la sanzione disciplinare. Per la Corte la tendenza del giudice, nell’arco della carriera, a ritardare il deposito dei provvedimenti viola il criterio di diligenza. Il magistrato con questa inclinazione, pertanto, a prescindere dalla malattia che lo ha colpito, ha l’obbligo di adottare modalità di organizzazione del lavoro tali da non determinare un sostanziale diniego di giustizia. Le sue condizioni di salute, in sostanza, forniscono una giustificazione solo parziale dei reiterati e gravi ritardi e non possono portare a escludere la responsabilità disciplinare, ma solo influire sulla sanzione.

Corte di Cassazione, sentenza n. 3471 del 15.02.2010

La Corte di Cassazione con la sentenza in esame ha stabilito che il giudice di pace non può incidere sulla base di pretese non fatte valere dalle parti (principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato, art.112 c.p.c) e che è necessario inoltre enunciare il principio di equità in base al quale viene definito il giudizio. Secondo la ricostruzione della vicenda, il ricorrente, che aveva adito il giudice di pace nei confronti del suo condominio per chiedere la dichiarazione di nullità inefficacia della deliberazione assembleare con la quale era stata ripartita la spesa per l’installazione di luci di emergenza, si era visto respingere la sua richiesta: il giudice, condannando il ricorrente a pagare 11 euro più interessi, aveva ritenuto che l’assemblee del condominio sono state regolarmente tenute e le deliberazioni regolarmente approvate, le deliberazioni sono state impugnate, pertanto esse vincolano tutti i condomini. Il ricorrente, proponendo ricorso per la cassazione della sentenza, aveva eccepito che il giudice di pace avesse deciso la causa sulla base di circostanze estranee alla materia del contendere. La Corte, accogliendo il ricorso, ha precisato che è in realtà attore non aveva contestato la regolarità formale dello svolgimento dell’assemblea o dell’approvazione della deliberazione in questione, né aveva omesso di impugnarla: aveva negato la sua legittimità proprio con l’atto introduttivo del giudizio, facendo valere un argomento che è stato del tutto trascurato dal giudice di pace, riguardante l’avvenuta applicazione della tabella millesimale generale, in luogo di quella vigente per gli oneri relativi alle scale. In conclusione la Corte ha quindi stabilito che la condanna da parte del giudice di pace, è stata pronunciata in assenza di una domanda in tal senso del condominio e che non è stato enunciato il principio di equità in base al quale il giudizio è stato definito.

Corte di Cassazione, sentenza n. 1983 del 28.01.2010

La Corte di Cassazione con la sentenza in esame ha preicstao che il ricorso proposto avverso un solo avviso di rettifica da uno solo dei soci, determina un litisconsorzio necessario originario: pertanto riguarda inscindibilmente tutti i soci. La vicenda vede coinvolto un contribuente che aveva impugnato l’avviso di rettifica con cui l’amministrazione finanziaria recuperava a tassazione il reddito per la partecipazione del contribuente ad una società. Il contribuente proponeva opposizione da solo e la Commissione Tributaria Provinciale di Latina accoglieva il ricorso, senza ordinare l’integrazione del contraddittorio. Lo stesso faceva la Commissione Tributaria Regionale. I giudici di legittimità dichiarando la nullità della sentenza (per mancata integrazione del contraddittorio e conseguente violazione del diritto di difesa), hanno motivato per relationem rifacendosi all’orientamento giurisprudenziale espresso con la sentenza delle Sezioni Unite della Stessa Corte (n. 14815 del 2008), secondo cui è il ricorso proposto da uno dei soci o dalla società anche avverso un solo avviso di rettifica, riguarda inscindibilmente la società i soci i quali tutti devono essere parte nello stesso processo, e che la controversia non può essere decisa limitatamente ad alcuni soltanto di essi perché non ha ad oggetto la singola posizione debitoria del o dei ricorrenti, bensì la posizione inscindibilmente comune a tutti i debitori rispetto all’obbligazione dedotta nell’atto autoritativo impugnato, cio li elementi comuni della fattispecie dell’obbligazione trattasi pertanto di litisconsorzio necessario originario con la conseguenza che: il ricorso proposto anche da uno soltanto dei soggetti interessati, destinatari di un atto impositivo, apre la strada al giudizio necessariamente collettivo e il giudice adito in primo grado deve ordinare l’integrazione del contraddittorio; il giudizio celebrato senza la partecipazione di tutti i litisconsorti necessari è nullo per violazione del principio del contraddittorio di cui agli artt. 101 cpc e 111 secondo comma Cost. e trattasi di nullità che può e deve essere rilevata in ogni stato e grado del procedimento, anche d’ufficio.

Corte di Cassazione, sentenza n. 27630 del 29.12.2009

La Suprema Corte con la sentenza in esame ha precisato che per la notifica al legale fa piena fede l’indirizzo che si trova sul sito internet del Consiglio nazionale forense. Con tale principio la Corte ha accolto il ricorso di una persona che si era opposta a un preavviso di fermo amministrativo. La notifica era stata eseguita presso i procuratori domiciliatari della società concessionaria della riscossione a un indirizzo che non coincideva con quello indicato come loro domicilio nella sentenza. La Cassazione ha però confermato che la discordanza tra il domicilio del difensore risultante dalla sentenza o comunque dagli atti e quello dove è stata effettuata la notifica può essere superata attraverso il riscontro dell’effettivo domicilio del difensore che non può essere altro che quello inserito nel sito internet del Consiglio nazionale forense.

Corte di Cassazione, Sezioni Unite, sentenza n. 26631 del 18.12.2009

La Suprema Corte a Sezioni Unite con la sentenza in esame ha precisato che l’avvocato deve astenersi dall’assistere un cliente soltanto se il conflitto di interessi con questo è reale ed effettivo non essendo sufficiente che prendere l’incarico sia potenzialmente dannoso. Lo hanno stabilito le Sezioni unite civili che con tale principio hanno respinto il ricorso di un legale che aveva avuto un conflitto reale con un cliente e che per questo era stato colpito dalla sanzione disciplinare dell’avvertimento. In sentenza si legge che, seppur vero che l’affermazione, contenuta nella sentenza impugnata, secondo cui la norma deontologica sancisce l’obbligo, per l’avvocato, di astenersi dal prestare attività professionale anche in presenza di un conflitto di interessi meramente potenziale con il proprio assistito è contrastante con l’insegnamento di questa Corte, secondo cui, viceversa, la norma si applica solo allorchè sia stata accertata l’esistenza e la verificazione, in concreto, di un conflitto tra le parti.

Corte di Cassazione sentenza n. 46631 del 03.12.2009

La Suprema Corte con la sentenza in esame ha precisato che il giudice non può essere ricusato solo perché in passato è stato denunciato all’autorità giudiziaria dall’avvocato. Infatti, ha stabilito la Cassazione con la sentenza in esame, la presentazione di una denuncia contro un magistrato non è da sola sufficiente ad integrare l’ipotesi di ricusazione, poiché il sentimento di grave inimicizia, per essere pregiudizievole, deve essere reciproco, deve cioè nascere o essere ricambiato dal giudice e deve trarre origine dai rapporti di carattere privato estranei al processo. Non solo, lo stesso principio vale anche quando il legale abbia denunciato un familiare stretto del magistrato.

Corte di Cassazione, sentenza n. 23467 del 05.11.2009

La Suprema Corte con la sentenza in esame ha precisato che il difensore non ha bisogno di essere investito di uno specifico incarico per proporre appello incidentale. Ciò che quando la procura sia stata apposta in calce alla copia notificata dell’atto di citazione in appello. Con tale principio la Corte, ha respinto il ricorso degli eredi di una vittima della strada che lamentavano la validità dell’appello incidentale presentato dall’assicurazione perché privo di uno specifico mandato al legale.

Corte di Cassazione, sentenza n. 22033 del 16.10. 2009

La Suprema Corte con la sentenza in esame ha precisato che è inammissibile l’invio con il fax delle memorie anche se fatto dallo studio del difensore. Con tale principio la Corte, ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato per risolvere una lite nata sulla fornitura di merci. Alla Suprema Corte, era arrivato in Cancelleria un fax dallo studio del difensore di una delle parti. L’atto non è stato accettato e l’uomo ha perso la causa

Corte di Cassazione, sentenza n. 38597 del 05.10.2009

La Suprema Corte con la sentenza in esame ha precisato che gli insulti aggravati dalla discriminazione razziale spostano la competenza dal giudice di pace al giudice ordinario. Secondo i giudici della Corte di Cassazione, l’aggravante della finalità di discriminazione o di odio etnico fa automaticamente scattare la competenza del giudice ordinario. Si tratta, infatti, sottolinea il collegio di un’aggravante configurabile non solo quando l’azione “per le sue intrinseche caratteristiche e per il contesto in cui si colloca, risulta intenzionalmente diretta a rendere percepibile all’esterno e a suscitare in altri analogo sentimento di odio e comunque a dar luogo, o in futuro o nell’immediato, al concreto pericolo di comportamenti discriminatori, ma anche quando essa si rapporti, nell’accezione corrente, a un pregiudizio manifesto di inferiorità di una sola razza, non avendo rilievo la mozione soggettiva dell’agente”.

Corte di Cassazione, sentenza n. 37535 del 24.09.2009

La Suprema Corte con la sentenza in esame ha affermato che l’istanza presentata dal difensore per legittimo impedimento può essere inviata via fax anche il giorno stesso dell’udienza ma prima che inizi il giudice ha l’obbligo di esaminarla. Con tale principio la Corte, ha accolto il ricorso di un legale che aveva fatto istanza di rinvio del dibattimento perché impossibilitato a partecipare per via di un concomitante impegno professionale.

Corte di Cassazione, sentenza n. 17840 del 31.07.2009

La Cassazione è intervenuta sulla corretta interpretazione del Dlgs 40/2006, modificativo proprio del processo di legittimità Per la Corte, il decreto legislativo, emanato in attuazione della delega prevista dalla legge per la competitività pecca di una “concisione” che rende impossibile individuare i poteri della Corte con l’istanza di fissazione dell’udienza pubblica, chiesta da uno dei diretti interessati entro dieci giorni dalla comunicazione del decreto di estinzione. In effetti, il comma 3 dell’articolo 391 Cpc ln quanto avaro di dettagli, ma – ad avviso dei giudici di piazza Cavour – è da ritenere che “il legislatore abbia voluto concedere alle parti in causa – che non ritengano esaustivo il provvedimento presidenziale di estinzione emanato in seguito della rinunzia – la possibilità di chiedere alla Corte di pronunziarsi sulla controversia, senza imporre loro l’onere di indicare quali siano i motivi di tale richiesta”. Quindi, quello previsto dal comma 3 dell’articolo Cpc, non sarebbe un rimedio impugnatorio, ma una richiesta di passaggio a una fase successiva del giudizio per un esame completo della controversia.