Il caso
Un uomo divulgava attraverso WhatsApp foto ritraenti una minore nuda dopo averle assicurato che sarebbero rimaste nella sua sola disponibilità.
La Corte d’Appello sez. min. di Taranto, in riforma della sentenza del Tribunale, dichiarava l’imputato responsabile del reato di pornografia minorile e lo condannava alla pena di 5 mesi e 10 giorni di reclusione ed Euro 1.200,00 di multa, con pena sospesa.
Avverso tale sentenza proponeva ricorso presso la Suprema Corte l’imputato lamentando tra gli altri motivi che “la Corte territoriale aveva ritenuto configurabile il reato contestato pur essendo comprovato che il materiale pedopornografico era stato autoprodotto dalla minore e non da un terzo soggetto”.
I Giudici di terzo grado hanno affermato che “il reato di cessione, con qualsiasi mezzo, anche telematico, di materiale pedo-pornografico è configurabile anche nel caso in cui detto materiale sia stato realizzato dallo stesso minore”.
Ai fini dell’integrazione del reato “di cui all’art. 600 ter c.p., comma 3 – distribuzione, divulgazione, diffusione o publicizzazione, con qualsiasi mezzo, anche per via telematica, di materiale pedopornografico – non rileva la modalità della produzione del materiale pedopornografico, sia essa auto o etero produzione”.
Con la sentenza n. 29579/21 del 28 luglio la Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso.