Il caso
La Corte d’Appello di Palermo confermava la sentenza resa dal GIP del Tribunale di Palermo e dichiarava la responsabilità penale di un uomo che, spacciandosi innumerevoli volte per dipendente di una società di fornitura di energia elettrica, si era fatto consegnare diverse somme di denaro.
Condannato per il reato di truffa e sostituzione di persona l’imputato propone ricorso presso la Suprema Corte lamentando tra gli altri motivi violazione di legge “in relazione all’art. 494 c.p. e art. 546 c.p.p. poiché si contesta all’imputato di essersi attribuito la qualifica di dipendente di una società di fornitura di servizi energetici e tale condotta non integra il contestato delitto di sostituzione di persona, poiché da tale qualifica non discendono per legge specifici effetti giuridici, come richiesto dalla norma incriminatrice”.
Il ricorso risulta manifestamente infondato.
I Giudici di terzo grado ricordano che «integra il reato di sostituzione di persona la falsa attribuzione della qualità di dipendente di un’associazione di servizio, la quale produce l’effetto giuridico di abilitare alla richiesta di informazioni concernenti minori, a nulla rilevando il fatto che il semplice rapporto di dipendenza dell’associazione non comporti la capacità di rappresentarla e di assumere impegni vincolanti verso l’esterno, in quanto, anche in mancanza di una rappresentanza diretta il dipendente crea una situazione di affidamento nell’interlocutore telefonico che costituisce il presupposto dell’attività propria dell’associazione» (Cass. n. 8670/2003).
L’essersi attribuito la qualifica di dipendente dell’Enel ha consentito quindi all’imputato di indurre le persone offese ad esibire con fiducia le bollette e a pagare nelle sue mani “le presunte bollette non pagate”.
Con la sentenza n. 39566/21 del 4 novembre la Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.