Casa familiare assegnata al coniuge e venduta ad un terzo?

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L’assegnazione della casa familiare al coniuge collocatario dei figli minori, è opponibile al terzo acquirente solo in due casi: nell’ipotesi in cui quest’ultimo abbia acquistato con una “clausola di rispetto” della situazione abitativa in essere, ovvero abbia stipulato un contratto di comodato con coloro che occupavano l’abitazione. Questo è quanto chiarito dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 9990 del 2019.

Dopo aver richiamato i principi che regolano la materia dell’assegnazione della casa coniugale in sede di separazione o divorzio, la Suprema Corte ha precisato che, il provvedimento di assegnazione della casa coniugale individua una posizione di «detenzione qualificata» a favore del coniuge assegnatario, essendo diretto a tutelare l’interesse della prole a permanere nell’abituale ambiente domestico. Tale diritto è opponibile al terzo che abbia acquistato successivamente una posizione giuridica incompatibile con quella del coniuge assegnatario (Cassazione, Sezioni Unite, 11096/2002). Inoltre, il provvedimento giudiziale di assegnazione della casa familiare, in quanto avente data certa, è opponibile al terzo acquirente in data successiva, per nove anni dalla data di assegnazione, sia che il provvedimento giudiziale sia stato o meno trascritto nei Registri immobiliari.

Il Supremo Consesso, ha ribadito quindi il principio consolidato secondo cui, l’assegnazione della casa familiare non ha finalità meramente assistenziali in favore di uno dei coniugi, bensì è diretta a garantire e mantenere l’habitat familiare a tutela dei figli, minori o maggiorenni non ancora autosufficienti, per cause non loro imputabili. 

Pertanto, è bene specificare che il bilanciamento tra gli interessi opposti (quello del coniuge assegnatario e quello del terzo acquirente dell’immobile) non determina la prevalenza assoluta del riconoscimento della tutela dell’interesse familiare (altrimenti si  giungerebbe  ad una funzionalizzazione totale della proprietà alle esigenze della famiglia, con effetti espropriativi del diritto dell’acquirente  sul bene), bensì esige un esame dell’adeguatezza del mezzo al fine e della proporzionalità della misura assunta, che dovrebbe condurre il minor sacrificio possibile dell’interesse in comparazione.