Corte Costituzionale: illegittima la norma introdotta dalla Riforma Fornero che ha reso facoltativa  la tutela reintegratoria

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La Corte Costituzionale con la sentenza n. 59 del 2021 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 18, settimo comma, secondo periodo, della legge 20 maggio 1970, n. 300, come modificato dall’art. 1, comma 42, lettera b), della legge 28 giugno 2012, n. 92 (Riforma Fornero), nella parte in cui prevede che il giudice, quando accerti la manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, «può altresì applicare» – invece che «applica altresì» – la disciplina di cui al medesimo art. 18, quarto comma (la c.d. tutela reintegratoria).

Nella fattispecie che ha dato origine alla pronuncia in commento, il giudice rimettente denunciava il contrasto della norma con l’art. 3 della Costituzione, alla luce del “trattamento irragionevolmente discriminatorio” che il legislatore avrebbe riservato a “situazioni identiche”. La reintegrazione, obbligatoria nel licenziamento per giusta causa nell’ipotesi di insussistenza del fatto, sarebbe infatti meramente facoltativa e sarebbe subordinata ad una valutazione in termini di non eccessiva onerosità nella fattispecie del licenziamento per giustificato motivo oggettivo.

Il rimettente argomentava, inoltre, che il potere discrezionale del giudice di disporre o negare la reintegrazione, “nell’assoluta mancanza di criteri normativi in base ai quali orientare l’interprete”, si configura come un potere “essenzialmente assimilabile all’esercizio dell’attività di impresa”.

Il licenziamento disposto ope iudicis, infine, non sarebbe rispettoso delle procedure di garanzia previste dall’art. 7 della legge 15 luglio 1966, n. 604 (Norme sui licenziamenti individuali) e potrebbe essere impugnato solo in sede di gravame contro la decisione del giudice che l’ha intimato, con la conseguente perdita di un grado di giudizio.

Investita della questione, la Corte Costituzionale, avallando gli argomenti del giudice remittente,  osserva che il carattere meramente facoltativo della reintegrazione rivela una disarmonia interna al sistema delineato dalla legge n. 92 del 2012 e vìola il principio di eguaglianza. L’esercizio arbitrario del potere di licenziamento sia quando adduce a pretesto un fatto disciplinare inesistente sia quando si appella a una ragione produttiva priva di ogni riscontro, lede l’interesse del lavoratore alla continuità del vincolo negoziale e si risolve in una vicenda traumatica, che merita di essere censurata.

Si rivela sprovvisto, inoltre, di un fondamento razionale – prosegue la Corte – anche l’orientamento giurisprudenziale che assoggetta a una valutazione in termini di eccessiva onerosità la reintegrazione dei soli licenziamenti economici. L’eccessiva onerosità, declinata come incompatibilità con la struttura organizzativa nel frattempo assunta dall’impresa, presuppone valutazioni comparative non lineari nella dialettica tra il diritto del lavoratore a non essere arbitrariamente estromesso dal posto di lavoro e la libertà di iniziativa economica privata.

Sulla base di tali argomenti, pertanto, si ravvisa la manifesta irragionevolezza circa la scelta di riconnettere a fattori contingenti, e comunque determinati dalle scelte del datore di lavoro, conseguenze di notevole portata, che si riverberano sull’alternativa fra una più incisiva tutela reintegratoria o una meramente indennitaria.