Dichiarazione di fallimento

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Cassazione civile sez. un. sentenza 28/05/2015 n.11131

In tema di impugnazione del provvedimento che abbia disposto la sospensione di diritto dalla carica di amministratore locale per condanna penale non definitiva ai sensi dell’art. 11, comma 1, lett. a) della legge Severino (n. 235/2012), la giurisdizione deve essere attribuita al giudice ordinario posto che il provvedimento impugnato, pur avendo natura amministrativa, afferisce all’esercizio del diritto di elettorato passivo in termini di esecuzione del mandato.

Cassazione civile sez. I sentenza 07/05/2015 n.9193

Indipendentemente dall’eventuale responsabilità di una società di revisione verso i soci ed i terzi, la tenuta della contabilità e la formazione del bilancio restano pur sempre attività proprie degli amministratori, i quali debbono provvedervi nel rispetto delle norme di legge e con la diligenza richiesta dalle funzioni esercitate, senza confidare acriticamente sull’operato di terzi, sulla cui attività sono anzi tenuti a vigilare.

Cassazione civile sez. I sentenza 19/03/2015 n. 5523

La facoltà del curatore di sciogliersi dal contratto non compiutamente eseguito, secondo quanto previsto dall’art. 72 R.D. n. 267 del 1942, presuppone che il contratto medesimo sia ancora pendente alla data di dichiarazione del fallimento (nella specie, accertato che il promissario venditore aveva esercitato il proprio diritto di recesso, ai sensi dell’art. 1385, comma 2, c.c., prima della dichiarazione di fallimento della promissaria acquirente, il curatore non poteva agire per ottenere la restituzione della somma trattenuta a titolo di caparra, in quanto alla data del fallimento il preliminare dedotto in giudizio non poteva ritenersi ancora pendente).

Corte di Cassazione, sentenza n. 26501 del 27.11.2013

La Corte di Cassazione con la sentenza in esame ha precisato che a seguito dell’azione proposta dal curatore fallimentare contro il terzo per la restituzione dei pagamenti eseguiti a suo favore dal fallito dopo la dichiarazione di fallimento – azione che ha natura di accertamento dell’inefficacia dei pagamenti medesimi – sugli importi in restituzione sono dovuti gli interessi legali dalle date dei singoli pagamenti.

Corte di Cassazione, sentenza n. 43660 del 09.12.2010

La Corte di Cassazione con la sentenza in esame ha precisato che non il sequestro conservativo applicato su richiesta del creditore può basarsi esclusivamente sull’inadeguatezza del patrimonio del debitore rispetto al credito fatto valere. Non serve richiamare a circostanze riferibili alla condotta processuale o extraprocessuale dell’imputato. Con tale principio la Corte ha accolto il ricorso della Regione Abruzzo e di alcune aziende sanitarie locali contro un loro debitore, verso cui vantavano un credito di oltre 5 milioni di euro. Gli enti impugnavano l’annullamento del sequestro conservativo dei beni del debitore deciso dal Tribunale del Riesame di Pescara. I giudici di merito avevano annullato la misura, sostenendo che non potesse fondarsi esclusivamente sull’inadeguatezza del patrimonio o delle fonti reddituali del debitore, essendo invece necessaria “la sussistenza di concrete circostanze di fatto riferibili alla condotta processuale o extraprocessuale dell’imputato, dalle quali sia possibile desumere, secondo l’id quod plerumque accidit, l’eventualità di un possibile depauperamento del suo patrimonio o la sua intenzione di sottrarsi all’adempimento del credito”. Tesi questa smentita dalla sesta sezione penale, che ha invece stabilito che “ai fini dell’adozione del sequestro conservativo, il periculum in mora può essere integrato anche solo dalla condizione di inadeguatezza del patrimonio dell’imputato rispetto all’entità delle pretese creditorie, indipendentemente da un depauperamento allo stesso ascrivibile”.

Corte di Cassazione, sentenza n. 35801 del 06.10.2010

La Corte di Cassazione con la sentenza in esame ha precisato che l’azienda messa sotto sequestro può continuare l’attività. Infatti, può essere nominato “un custode che abbia poteri di vera e propria gestione”.

Corte di Cassazione, sentenza n. 27750 del 16.07.2010

La Corte di Casaszione con la sentenza in esame ha precistao che non è soggetta a confisca per equivalente la cessione di un credito pro solvendo Con tale principio la Corte ha respinto il ricorso della Procura di Palermo. In sostanza la sesta sezione penale del Palazzaccio ha precisato che è illegittimo il sequestro per equivalente disposto nei confronti di una cessione pro solvendo di crediti, essendo individuabile il profitto del reato soltanto in un effettivo arricchimento patrimoniale acquisito e non nella semplice esistenza di un credito, per così dire, “virtuale”, in quanto non riscosso, e meno che mai nella cessione pro solvendo dello stesso credito, non ancora liquido ed esigibile, a garanzia di una linea di affidamento accordata alla cedente dalla banca e che, pur concretandosi in una temporanea anticipazione di liquidità comporta comunque contestualmente l’assunzione di un debito di corrispondente importo.

Corte di Cassazione, sentenza n. 11508 del 12.05.2010

La Corte di Cassazione con la sentenza in esame ha precisato che il termine per la notifica del decreto di fissazione di udienza al fallito, non ha carattere perentorio con la conseguenza che il mancato rispetto non rende inammissibile l’opposizione. Per la Corte l’inosservanza del termine originariamente assegnato può essere sanata se alla nuova udienza fissata dal giudice delegato l’opponente dimostra di aver provveduto all’adempimento prescritto nel termine a tal fine assegnatogli.

Corte di Cassazione, Sezioni Unite, sentenza n. 20929 del 30.10.2009

La Suprema Corte, a Sezioni Unite, con la sentenza in esame ha precisato che l’azienda deve pagare pesanti sanzioni, nel caso in cui ponga in essere un comunicato stampa che stravolga la reale tempistica, organizzazione e preordinazione di un’operazione finanziaria. In tale ipotesi per la Corte si configura una manipolazione di mercato e come tale sanzionabile

Corte di Cassazione, sentenza n. 15374 del 30.06.2009

La Suprema Corte con la sentenza in esame ha precisato che la somministrazione di bevande e alimenti in un circolo legato a un partito politico non sfugge all’autorizzazione per la vendita al pubblico. Il ricorrente si era difeso affermando che l’accesso nei locali era consentito a un ristretto numero di persone, costituite nella maggioranza dai soci, dai loro familiari e dai simpatizzanti del partito. Tuttavia la Corte di Cassazione ha ritenuto che proprio il sostantivo “simpatizzante” non individua una categoria precisa e riconoscibile di soggetti, ma è sinonimo di una pluralità di persone che finisce per identificarsi con la più generica nozione di pubblico. Nella sentenza si legge, quindi, che, proprio in relazione alla violazione dell’articolo 10 della legge 25 agosto 1991 n. 297 (che sanziona l’esercizio di alimenti e bevande al pubblico senza l’autorizzazione comunale prescritta) è corretto confermare la decisione del precedente grado contro il privato.

Corte di Cassazione, sentenza n. 12994 del 05.06.2009

La Suprema Corte con la sentenza in esame ha precisato che la società di gestione dei fondi d’investimento è tenuta a risarcire i danni arrecati ai risparmiatori dai dipendenti della società incaricata del collocamento. Con tale principio la Corte ha accolto il ricorso di due coniugi siciliani che avevano investito i propri risparmi in fondi gestiti, consegnando al responsabile dell’agenzia della loro città due assegni dei quali si era appropriato senza procedere all’investimento. La Cassazione ha stabilito che la società andante si deve considerare sempre responsabile per i danni provocati dagli agenti, anche se operano in forma societaria, dal momento che la responsabilità della mandante interessata al collocamento concorre con la colpa diretta della società che ha agito. Non si può consentire, infatti, che essa si sottragga alle rigorose norme in tema di responsabilità delle società finanziarie nei confronti degli investitori per il solo fatto che i soggetti cui ha affidato la distribuzione delle quote del fondo operano in forma societaria.

Cassazione civile sez. un. sentenza 29/10/2015 n.22093

Il giudice italiano può aprire una procedura di insolvenza secondaria nei confronti di una società, avente sede in Italia e facente parte di un gruppo internazionale, anche se tale società è già sottoposta a procedura di insolvenza principale in altro Stato membro, dove essa ha il proprio centro di interessi principali.