Agenzia di viaggi: il consumatore non ha sempre ragione

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Le misure consumeristiche devono applicarsi con ragionevolezza in modo da evitare che le norme preposte alla tutela del consumatore si traducano nei fatti in forme di abuso della stessa.

Questo è quanto statuito dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 14257 del 2020, avente ad oggetto la richiesta di risarcimento del danno da parte del consumatore nei confronti di un’agenzia di viaggi per non aver utilizzato – solo per sua negligenza – le informazioni che gli sono state fornite circa i rischi del viaggio.

Più nel dettaglio, due turiste agivano in giudizio contro l’agenzia con cui avevano concluso un contratto di viaggio turistico collettivo per lamentare i danni da vacanza rovinata. Si trattava di un viaggio in Siria ed in Giordania. Le donne erano state fermate all’aeroporto siriano, a causa della presenza di un timbro giordano sul passaporto, e lì trattenute per alcune ore.

Le turiste agivano così contro l’agenzia di viaggi per ottenere il risarcimento di tutti i danni anche non patrimoniali subiti. In particolare, le attrici contestavano all’agente di viaggi la violazione degli articoli 87 e 88 del Codice del Consumo (attualmente Codice del Turismo) per non essere state adeguatamente informate sulle condizioni applicabili ad un cittadino di una stato membro dell’UE in materia di passaporto e visto per entrare in Siria. La convenuta si difendeva sostenendo di aver consegnato alle turiste un opuscolo informativo ben cinque giorni prima della partenza.

In primo grado e in secondo grado, la domanda attorea veniva rigettata, in quanto, pur riconoscendo l’inadempimento informativo, il giudice riteneva che le attrici, avendo ricevuto l’opuscolo prima della partenza, avrebbero potuto chiedere l’annullamento del contratto e la restituzione della somma versata.

Le ricorrenti hanno, pertanto, presentato ricorso in cassazione. La Suprema Corte, chiamata quindi a dirimere la controversia, ha ritenuto corretta la scelta del giudice di merito di non adottare nel caso di specie il “dogma consumeristico”, ossia di non applicare aprioristicamente la teoria della condizione di debolezza del consumatore per il deficit informativo che connota la sua posizione contrattuale e che richiede, perciò, protezione tout court.

Nel caso di specie, infatti, le ricorrenti non si sono trovate in una posizione di carenza di informazioni, essendo state prontamente rese edotte dall’agenzie del rischi incombenti. Di contro, la Corte ha ritenuto negligente il comportamento delle donne, le quali si sarebbero dovute premurare prima della partenza delle difficoltà in cui si sarebbero potute trovare e chiedere di conseguenza l’annullamento del contratto.

Sulla scorta di quanto sostenuto, pertanto, il ricorso è stato rigettato e le ricorrenti condannate al pagamento delle spese in favore della controricorrente.