Condominio: le ringhiere dei balconi sono parti comuni

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Le ringhiere e i divisori dei balconi rientrano tra le parti comuni dell’edificio e le spese per la loro sostituzione devono essere ripartire tra tutti i condomini. Questo è quanto si ricava dalla recente ordinanza della Corte di Cassazione n. 10848/2020, avente ad oggetto il ricorso di un condomino avverso la deliberazione assembleare che aveva ripartito tra tutti i condomini le spese per la sostituzione delle ringhiere e dei divisori dei balconi.

Secondo i giudici di merito, le ringhiere, che fungono da parapetto (come i divisori dei balconi), costituiscono parte integrante della facciata, con la quale formano un insieme che si traduce in una peculiare conformazione del decoro architettonico, con conseguente riconducibilità di queste al novero delle parti comuni dell’edificio.

Per il condomino, invece, avrebbero errato i giudici a ricomprendere le ringhiere ed i divisori dei balconi tra le parti condominiali, né avrebbe spiegato quali siano le caratteristiche tali da giustificarne il rilievo architettonico e prospettico.

Sul punto si è espressa la Corte di Cassazione, la quale, conformandosi ai suoi precedenti orientamenti, ha affermato che mentre i balconi di un edificio condominiale non rientrano tra le parti comuni, ai sensi dell’art. 1117 c.c., non essendo necessari per l’esistenza del fabbricato, né essendo destinati all’uso o al servizio di esso, i rivestimenti dello stesso devono, invece, essere considerati beni comuni se svolgono in concreto una prevalente, e perciò essenziale, funzione estetica per l’edificio, divenendo così elementi decorativi ed ornamentali essenziali della facciata (v. tra le altre, Cass. n. 6624/2012; Cass. n. 30071/2017).

A ciò deve aggiungersi, prosegue la Corte, che l’accertamento del giudice di merito che le ringhiere costituenti il parapetto del fronte dei balconi ed i divisori degli stessi, giacché “ben visibili all’esterno”, “disposti simmetricamente”, “omogenei per dimensioni, forma geometrica e materiale”, assolvano in misura preponderante alla funzione di rendere esteticamente gradevole l’edificio, costituisce apprezzamento di fatto, incensurabile in sede di legittimità se non per omesso esame di fatto storico decisivo e controverso ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.

Da qui il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese.