Il caso
Un uomo proponeva ricorso per cassazione avverso il decreto di sequestro preventivo emesso dal tribunale di Nocera Inferiore, e confermato dal tribunale di Salerno, per il reato di truffa che egli avrebbe commesso per ottenere il reddito di cittadinanza.
Egli aveva infatti omesso dei dati nella sua dichiarazione ISEE.
Il soggetto indagato sostiene l’insussistenza del dolo giacché avrebbe potuto beneficiare del reddito di cittadinanza “anche con l’incremento di reddito provocato ove avesse inserito nella dichiarazione ISEE le quote di proprietà dei terreni omessi”.
La Suprema Corte ricorda che nella sentenza n. 5289 del 25 ottobre 2019 « viene in rilievo il D.L. n. 4 del 2019, art. 7, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 26 del2019, il quale prevede: al comma 1, che “salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, al fine di ottenere indebitamente il beneficio di cui all’art. 3, rende o utilizza dichiarazioni o documenti falsi o attestanti cose non vere, ovvero omette informazioni dovute, è punito con la reclusione da due a sei anni”; al comma 2, che “l’omessa comunicazione delle variazioni del reddito o del patrimonio, anche se provenienti da attività irregolari, nonché di altre informazioni dovute e rilevanti ai fini della revoca o della riduzione del beneficio entro i termini di cui all’art.3, comma 8, ultimo periodo, commi 9 e 11, è punita con la reclusione da uno a tre anni».
I Giudici affermano che non spetta al “cittadino beneficiario la scelta su cosa comunicare e cosa omettere” giacché il funzionamento del meccanismo di riequilibrio sociale “presuppone necessariamente una leale cooperazione fra cittadino e amministrazione, che sia ispirata la massima trasparenza”.
Non dovendo essere valutate le condizioni per poter usufruire del reddito cittadinanza ma la veridicità della dichiarazione di tali condizioni la Corte di Cassazione dichiara il ricorso infondato e con la sentenza n. 2402/21 del 20 gennaio condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.