Commettono elusione fiscale le società di calcio che, per per dissimulare gli ingaggi dei propri giocatori, cedono a un’altra società diritti d’immagine dei calciatori stessi

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Corte di Cassazione, sentenza n. 15905 del 06.07.2010

La Corte di Cassazione ha precisato che il Fisco può attivare l’accertamento applicando gli standard degli studi di settore se il contribuente non ha risposto all’invito al contraddittorio in sede amministrativa. Lo ha chiarito la sezione tributaria della Cassazione con l’ordinanza 15905/2010 secondo la quale se è vero che la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, è altrettanto vero che, nel caso di mancata risposta all’invito al contraddittorio, il contribuente si assume le conseguenze di questo suo comportamento, in quanto l’Ufficio è legittimato a motivare l’accertamento sulla sola base dell’applicazione degli standard, dando conto dell’impossibilità di costituire il contraddittorio con il contribuente

Corte di Cassazione, sentenza n. 10151 del 02.07.2010

La Corte di Cassazione con la sentenza in esame ha precisato che deve pagare l’Irap lo studio di professionisti che, pur non avvalendosi di personale proprio, ha un contratto di fornitura di tutti i servizi (ad esempio telefonia e segretariato) con una società Con tale principio la Corte, ha accolto il ricorso dell’amministrazione delle finanze presentato contro la decisione della commissione tributaria regionale di Perugia che aveva accordato a uno studio associato l’esenzione dal tributo in quanto privo di autonoma organizzazione. In particolare lo studio aveva affidato tutti i servizi, fra cui la segreteria, a una società non disponeva di dipendenti o collaboratori. La tesi dell’assenza di un’autonoma organizzazione ha convinto i giudici di merito ma in Cassazione la vicenda si è completamente ribaltata. Secondo l’approdo giurisprudenziale raggiunto dagli Ermellini “in tema di Irap, il ricorso al lavoro di terzi per la fornitura di tutti i necessari servizi (dalla telefonia al segretariato) in forma rilevante e non occasionale, ma continuativa, integra il presupposto dell’esercizio abituale di una attività autonomamente organizzata, previsto dall’art. 2, comma 1, del d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, non rilevando che la struttura posta a sostegno e potenziamento dell’attività professionale del contribuente sia fornita da personale dipendente o da un terzo in base ad un contratto di fornitura”.

Corte di Cassazione, sentenza n. 14960 del 22.06.2010

La Corte di Cassazione con la sentenza in esame ha precisato che sono deducibili i costi versati da uno studio associato a una fondazione (impegnati nello stesso tipo di attività professionale) in virtù di un contratto d’uso di macchinari anche se presi in leasing dall’ente no profit. Con tale pricipio la Corte, ha respinto il ricorso dell’amministrazione finanziaria che aveva chiesto le maggiori imposte a uno studio associato di medici che avevano stipulato con una fondazione un contratto d’uso dei macchinari (presi in leasing). Per la Corte “il costo portato in detrazione dall’associazione professionale è stato ritenuto inerente dalla C.T.R. sulla base di considerazioni logiche e conseguenti mentre quanto alla congruità dei costi la C.T.R. ha affermato che il costo dei beni e servizi appare commisurato al loro valore e all’alto grado di specializzazione professionale dei dati scientifici raccolti ed elaborati dalla banca dati della Fondazione. A fronte di tale valutazione, che non appare né meramente apparente, né illogica, le amministrazioni ricorrenti non hanno dedotto alcuno specifico motivo di contestazione indicando elementi probatori non valutati o tacitamente contraddetti dalla C.T.R. Ogni ulteriore richiesta di valutazione nel merito va pertanto ritenuta inammissibile”.

Corte di Cassazione, Sezioni Unite, sentenza n. 14499 del 16.06.2010

La Corte di Cassazione a Sezioni Unite con la sentenza in esame ha precisato che i contribuenti devono essere risarciti davanti alla Ctp per i ritardi del fisco. Con tale principio la Corte apre ai risarcimenti dei contribuenti danneggiati dalle lungaggini dell’amministrazione finanziaria. Infatti il cittadino che chiede i danni al fisco per ritardi nei rimborsi deve rivolgersi alla commissione tributaria provinciale e non al Tribunale. Lo hanno sancito le Sezioni unite civili della Cassazione che, hanno dichiarato la giurisdizione della ctp in una causa promossa da un avvocato che chiedeva il risarcimento del danno per i “ritardati rimborsi” dell’amministrazione finanziaria. Il Collegio esteso ha motivato la decisione richiamando il principio secondo cui “in base al alla concentrazione della tutela, le Commissioni Tributarie possono riconoscere al contribuente non soltanto il rimborso delle imposte indebitamente versate, ma pure gli accessori come gli interessi ovvero il maggior danno o l’importo eventualmente pagato per la prestazione di cauzioni non dovute

Corte di Cassazione, sentenza n. 13576 del 04.06.2010

La Corte di Cassazione con la sentenza in esame ha precisato che il giudice non può dichiarare l’inammissibilità del ricorso del fisco se il termine per la presentazione dell’atto è superato a causa del malfunzionamento (accertato con decreto) dell’ufficio delle entrate. Con tale principio la Corte ha accolto il ricorso dell’amministrazione finanziaria. In sostanza la sezione tributaria ha affermato che è valida la proroga dei termini processuali richiesta dall’amministrazione finanziaria dopo la scadenza del termine, e che abbia perciò effetto di una rimessione, per malfunzionamento degli uffici, se la dilazione è necessaria per garantire il diritto dell’amministrazione al regolare accertamento e riscossione delle imposte. In tali casi i diritti del contribuente sono garantiti dal rispetto di quattro principi: il diritto alla parità delle parti, il principio della parità processuale, il diritto di difesa e il diritto alla ragionevole durata del processo.

Corte di Cassazione, sentenza n. 12247 del 19.05.2010

La Corte di Cassazione con la sentenza in esame ha riconosciuto ampi poteri al fisco sulla valutazione dei bilanci. Infatti rientra nei poteri dell’amministrazione finanziaria negare la deduzione dei costi “sproporzionati ai ricavi”. Non solo. Può provare le maggiori imposte anche attraverso le dichiarazioni di persone qualificate del settore, raccolte in sede di ispezione dalla Guardia di finanza. Con tale principio la Corte, ha respinto il ricorso di una piccola casa editrice che aveva esposto in bilancio una serie di costi “sproporzionati”, secondo l’amministrazione finanziaria, ai ricavi. Sulla valutazione, fra l’altro, avevano pesato molto le dichiarazioni raccolte dalla Fiamme gialle presso esperti del settore. Un metodo, questo, avallato dalla sezione tributaria della Cassazione, secondo la quale, “si deve ragionevolmente ritenere che soggetti operanti nel settore, ancorchè non addetti alla specifica lavorazione in contestazione, siano tutt’altro che ignari del valore di mercato di servizi resi a monte e a valle della specifica attività svolta”. Nelle motivazioni viene inoltre precisato che “rientra nei poteri dell’amministrazione finanziaria la valutazione di congruità dei costi e dei ricavi esposti nel bilancio e nelle dichiarazioni e la rettifica di queste ultime, anche se non ricorrano irregolaritàè della tenuta delle scritture contabili o vizi degli atti giuridici compiuti nell’esercizio d’impresa, con negazione della deducibilità di parte di un costo sproporzionato di ricavi o all’oggetto dell’impresa; pertanto, la deducibilità dei costi esposti in bilancio non implica che gli uffici finanziari siano vincolati alla misura indicata in delibere o libri sociali o contratti e che sia irrilevante la divergenza tra il valore effettivo e il valore ivi iscritto o riportato”.

Corte di Cassazione, sentenza n. 12214 del 19.05.2010

La Corte di Cassazione con la sentenza in esame ha accolto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, contro la decisione della CTR della Campania, che aveva dichiarato l’inammissibilità dell’accertamento in capo al socio di una s.a.s, poiché tale società aveva ottenuto il condono fiscale. Nella motivazione, la Suprema Corte ha infatti spiegato come : “il condono fiscale ottenuto dalla società di persone non estende automaticamente i propri effetti ai singoli soci, nei confronti dei quali l’Amministrazione finanziaria conserva il potere di procedere ad accertamento, e che devono pertanto presentare autonoma istanza per potersi avvalere del beneficio; fermi restando tutti i diritti dell’Erario nei confronti dei soci che non abbiano richiesto il condono, l’imponibile preso a base dall’Ufficio per l’ammissione della società al beneficio può essere assunto dal giudice tributario come riferimento per determinare in modo congruo il reddito dei singoli soci, in considerazione della correlazione logica, giuridica ed economica esistente tra il reddito della società a quello di partecipazione dei soci, e quindi della necessità che, nella determinazione di quest’ultimo, si tenga conto dell’imponibile accertato e definito nei confronti della società stessa”.

Corte di Cassazione, sentenza n.12269 del 19.05.2010

La Corte di Cassazione con la sentenza in esame ha precisato che sono esenti dall’Ici gli appartamenti situati nello stesso stabile (e destinati ad abitazione principale) anche se di proprietà dei coniugi, in separazione dei beni. Lo ha stabilito la Suprema Corte, decidendo sul ricorso presentato da una donna contro la sentenza della Commissione Tributaria di Torino, che aveva respinto il ricorso presentato contro gli avvisi di liquidazione Ici per gli anni dal 1998 al 2001. La signora, in regime di separazione dei beni, era proprietaria di un appartamento sito nello stabile in cui anche suo marito aveva acquistato un’unità immobiliare. Entrambi avevano registrato la proprietà come “abitazione principale”, ma alla moglie era stata negata la possibilità di pagare l’imposta con la relativa agevolazione. La CTR aveva infatti stabilito che, nel caso in esame, in cui un nucleo familiare vive in due unità contigue, ma catastalmente distinte, la detrazione spetta una sola volta e in riferimento ad una sola unità era quelle utilizzate. La Corte, rovesciando tale decisione, ha invece affermato il principio di diritto per cui: “il contemporaneo utilizzo di più di una unità catastale come abitazione principale, anche se di proprietà non di un solo coniuge ma di ciascuno dei due in regime di separazione dei beni, non costituisce ostacolo all’applicazione, per tutte, dell’aliquota prevista per l’abitazione principale, sempre che il derivato complesso abitativo utilizzato non trascenda la categoria catastale delle unità che lo compongono, assumendo rilievo, a tal fine, non il numero delle unità catastali ma la prova dell’effettiva utilizzazione come “abitazione principale” dell’immobile complessivamente considerato, ferma restando, ovviamente, la spettanza della detrazione prevista dell’art. 8, comma 2 della l. 168/1982, una sola volta per tutte le unità in presenza dei requisiti di legge”.

Corte di Cassazione, sentenza n. 12149 del 18.05.2010

La Corte di Cassazione con la sentenza in esame ha precisato che il liquidatore della società non risponde delle imposte verso l’amministrazione finanziaria se non ha effettuato pagamenti “di debiti di grado inferiore”… rispetto a quelli tributari e cio se non viene dimostrato che ha “scavalcato l’Erario. Con tale principio la Corte, ha respinto il ricorso dell’Agenzia delle entrate. In particolare la sezione tributaria ha spiegato che la responsabilità personale dell’amministratore per mancato pagamento dei tributi della società in liquidazione, deve essere sempre dimostrata. E “in caso di violazioni tributarie è necessario l’accertamento dell’avvenuto pagamento di debiti di grado inferiore a quelli tributari. Infatti, la responsabilità ex art. 36 DPR 602/1973 trova la sua fonte in una autonoma obbligazione legale, che insorge quando ricorrono gli elementi obiettivi della sussistenza di attività nel patrimonio della società in liquidazione e della distrazione di tali attività ai fini diversi dal pagamento delle imposte dovute.

Corte di Cassazione, sentenza n. 11423 del 11.05.2010

La Corte di cassazione con la sentenza in esame ha precisato che la mancata risposta dell’azienda al questionario inviatogli dall’ufficio (prima del ’99) non legittima l’accertamento induttivo. Con tale principio la Corte ha accolto il ricorso di un contribuente, dando una risposta per tutto il contenzioso ancora in corso. Secondo gli Ermellini, infatti, “la mancata risposta del contribuente ad un questionario inviatogli dall’ufficio non legittima, di per sé sola, una rettifica del reddito d’impresa in via induttiva, ai sensi dell’art. 39, comma secondo, lettera d), del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, ove tale omissione si sia verificata prima dell’entrata in vigore dell’art. 25 della legge 18 febbraio 1999, n. 28, stante la tassatività delle ipotesi previste dalle lettere a), b), c) e d) del citato art. 39. comma secondo, nel testo all’epoca vigente

Corte di Cassazione, Sezioni Unite, sentenza n. 11082 del 07.05.2010

La Corte di Cassazione con la sentenza in esame ha precisato che il giudice tributario a esprimersi sul segreto professionale eccpito dal legale tributarista. La Corte ha chiarito, infatti, che le notizie conosciute dal legale vanno a tutelare esclusivamente la posizione del cliente-contribuente e in modo particolare il rapporto di quest’ultimo con il Fisco. Quindi l’autorizzazione attiene esclusivamente al procedimento amministrativo di verifica tributaria e produce effetti solo nell’ambito dello stesso. La giurisdizione del giudice tributario, così come è delineata dal Dlgs 546/1992 non ha a oggetto solo gli atti finali del procedimento amministrativo di imposizione tributaria, ma anche quelli prodromici a esso tra i quali rientra senza meno l’insieme di notizie conosciute da un professionista e che riguardano in prima persona il cliente-contribuente.

Consiglio di Stato ,sentenza n. 1901 del 06.04.2010

Il Consiglio di Stato con la decisione in esame ha precisato che sono sempre di competenza del Giudice tributario e mai del Giudice amministrativo le controversie relative a fermi amministrativi su beni mobili per crediti di natura tributaria vantati dalla Pubblica Amministrazione . Il Consiglio ha superato l‘impostazione fornita TAR della Regione Puglia secondo cui la misura di fermo di bene mobile deve qualificarsi come un provvedimento di natura amministrativa dal momento che esso si estrinseca nell’emanazione di un atto unilaterale idoneo ad incidere in maniera autoritativo nella sfera giuridico-patrimoniale del destinatario, con l’imposizione di un vincolo di indisponibilità del bene che implica la temporanea privazione del diritto di godimento e il divieto di utilizzazione del mezzo, la cui violazione comporta una sanzione amministrativa pecuniaria e l’asportazione del veicolo. Con l’impugnativa di tale pronuncia veniva posta in discussione il carattere amministrativo del fermo beni mobili per crediti di natura tributaria. Il Consiglio con la sentenza suindicata ha avuto modo di chiarire che ,se a partire dall’entrata in vigore dell’articolo 35, comma 26 quinquies, del Dl 223/2006 è stata espressamente prevista, con riferimento alle controversie di natura tributaria, la possibilità di impugnare dinanzi alla Commissione tributaria il provvedimento di fermo e se la giurisdizione, ai sensi dell’articolo 5 del codice di procedura civile, si determina con riguardo alla legge vigente al momento della proposizione della domanda, ciò nostante, tale diposizione non ha innovato la normativa previgente ma ha solo chiarito il riparto di giurisdizione per controversie relative a crediti di natura tributaria vantati dalla Pubblica amministrazione. Anche se la domanda è precedente all’entrata in vigore del decreto Visconti Bersani la competenza rimane sempre e comunque in capo alla giustizia tributaria.

Corte di Cassazione, sentenza n. 9590 del 22.04.2010

La Corte di Cassazione con la sentenza in esame ha stabilito che la notifica fatta al familiare del contribuente è valida. La Corte accogliendo il ricorso del fisco ha stabilito che la notifica mediante consegna a persona di famiglia non postula necessariamente l’ulteriore requisito della convivenza non espressamente menzionato dall’art.139 c.p.c. risultato sufficiente l’esistenza di un vincolo (di parentela o di affinità tale da giustificare la presunzione che la persona di famiglia Consegnerà l’atto al destinatario.

Corte di Cassazione, sentenza n. 8495 del 09.04.2010

La Corte di Cassazione con la sentenza in esame ha precisato che è dovuta l’I.C.I. su un immobile di proprietà della Regione ma utilizzato da un soggetto pubblico diverso: il diritto all’esenzione non può infatti, essere esteso per via analogica, soprattutto quando il bene non sia più utilizzato per scopi istituzionali.

Consiglio di Stato, sentenza n.1740 del 24.03.2010

Il Consiglio di Stato con la decisione in esame ha precisato che non può essere giudice tributario chi esercita in qualsiasi forma la consulenza fiscale ovvero l’assistenza o la rappresentanza dei contribuenti nei rapporti con l’amministrazione finanziaria o nelle controversie in questa materia. Il Consiglio di Stato, con l’occasione ha precisato che anche la tenuta e la custodia di scritture contabili nonché la predisposizione della dichiarazione dei redditi un’attività incompatibile con le funzioni svolte dai componenti delle commissioni tributarie.

Corte di Cassazione, sentenza n. 5913 dell’11.03.2010

La Corte di Cassazione con la sentenza in esame ha stabilito che è legittimo l’accertamento fiscale che si basa sui versamenti sui conti correnti bancari dei familiari dei soggetti contribuenti che risultano indagati per il reato corruzione. È onere del contribuente poi dimostrare che i soldi confluiti sui conti correnti non potevano essere soggetti ad alcuna imposizione. In particolare la Corte oltre a precisare che, in forza della retroattività della L. 24 dicembre 1993, n. 537, i proventi illeciti sono imponibili anche retroattivamente, hanno quindi spiegato che nel processo tributario, nel caso in cui l’accertamento effettuato dall’ufficio si fondi su verifiche di conti correnti bancari, tenere del contribuente a carico del quale si determina un’ iinversione dell’onere della prova, dimostrare che gli elementi desumibili della movimentazione bancaria non siano riferibili ad operazioni imponibili mentre l’onere probatorio dell’Amministrazione è soddisfatto, per legge, attraverso i dati e gli elementi risultanti dai conti predetti. La Corte ha concluso precisando un altro punto sollevato dal ricorrente: in particolare, per quanto attiene alle motivazioni di atti amministrativi per relationem, che l’atto amministrativo d’imposizione tributaria può essere motivato per relationem ad un atto istruttorio del procedimento ma il rinvio motivazionale, dell’atto amministrativo d’imposizione tributaria ad un atto istruttorio deve essere adeguato. In tal senso l’accertamento giudiziale dell’adeguatezza della motivazione per relationem dell’atto amministrativo d’imposizione tributaria deve essere adeguatamente motivato e l’accertamento in sede di giudizio di legittimità dell’adeguatezza della motivazione per relationem dell’atto amministrativo d’imposizione tributaria deve essere specificamente contestato dal ricorrente.

Corte di Cassazione, sentenza n. 5050 del 03.03.2010

La Corte di Cassazione, con la sentenza in esame ha precisato che le aziende condannate a pagare le sanzioni antitrust non possono dedurle dalle imposte. A questa conclusione è giunta la Corte che con tale principio, ha respinto il ricorso della Sony spa. In particolare per la Corte è a pretendere pertanto che l’entità di tale sanzione costituisca un costo deducibile dal reddito imprenditoriale significherebbe neutralizzare interamente la ratio punitiva della penalità trasformandola in un risparmio d’imposta.

Corte di Cassazione, sentenza n. 4737 del 26.02.2010

La Corte di Cassazione con la sentenza in esame ha precisato che commettono elusione fiscale le società i calcio che, per per dissimulare gli ingaggi dei propri giocatori, cedono a un’altra società i diritti d’immagine dei calciatori stessi. Per la Corte è precluso al contribuente, trattandosi di abuso del diritto, il conseguimento di vantaggi fiscali ottenuti mediante l’uso distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei a ottenere un’agevolazione o un risparmio d’imposta, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l’operazione, diverse dalla mera aspettativa di quei benefici.