Con il nuovo scivolo in pensione cinque anni prima

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Con lo scivolo pensionistico disposto dal decreto crescita (d.l.n. 34 del 2019) i lavoratori ai quali mancano cinque anni per maturare il diritto alla pensione, possono cessare di svolgere l’attività lavorativa.

Si tratta di una conseguenza derivante dalla stipula dei contratti di espansione, adottati in via sperimentale per il 2019 e il 2020 e finalizzati a garantire il turnover nelle aziende con lavoratori più giovani.

Il decreto crescita è proteso verso l’immissione di nuove forze lavorative nelle aziende, con competenze anche nel settore tecnologico, attraverso misure in grado di agevolare l’uscita dal lavoro di coloro che hanno quasi maturato il diritto al trattamento pensionistico. 

Il d.l.n. 34 del 2019 prevede che maturano il diritto alla pensione i lavoratori a cui mancano non più di sessanta mesi per conseguire il diritto alla pensione di vecchiaia e che hanno maturato il requisito minimo contributivo. Per coloro invece non hanno i predetti requisiti, la norma individua la possibilità di chiedere una riduzione dell’orario di lavoro, nel limite del 30%. In ogni caso, precisa la norma, le condizioni previste nell’ambito di accordi di non opposizione devono essere accettate dai lavoratori, i quali devono esprimere al riguardo un esplicito consenso.

La possibilità di assumere nuovi dipendente a fronte della possibilità di ricorrere allo scivolo per i dipendenti più anziani rappresenta un onere per il datore di lavoro: questi deve riconoscere al dipendente, per tutto il periodo e fino al raggiungimento del primo diritto alla pensione, e a fronte della risoluzione del rapporto di lavoro, di un’indennità mensile, se spettante comprensiva dell’indennità NASpI, commisurata al trattamento pensionistico lordo maturato dal lavoratore al momento della cessazione del rapporto di lavoro, come determinato dall’INPS.

Se poi il primo diritto alla pensione è quello previsto per la pensione anticipata, il datore di lavoro versa anche i contributi previdenziali utili a conseguire il diritto, ad eccezione del periodo già coperto dalla contribuzione figurativa dopo la risoluzione del rapporto di lavoro.

La prestazione quindi, di regola, è pagata dall’azienda, ma  potrà essere riconosciuta anche attraverso fondi di solidarietà già costituiti o in corso di costituzione, senza la necessità di modificare i relativi statuti.