Uomo coltiva 68 piantine di marijuana per fini terapeutici

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Il caso

La Corte d’Appello di Trieste confermava la condanna di un uomo che, avendo coltivato illegalmente 68 piantine di marijuana, si era reso responsabile del reato di cui di cui all’art. 73, comma 5, T.U. stup..

Avverso tale sentenza ricorreva per cassazione l’imputato deducendo violazione della legge penale e vizio di motivazione. 

In particolare a mezzo del difensore di fiducia lamentava l’esclusione “del vincolo della continuazione tra il reato sub iudice e l’identico reato giudicato con sentenza divenuta definitiva, anche questo commesso in attuazione del medesimo obiettivo: procurarsi un economico ed efficace antidolorifico”.

I Giudici di terzo grado ritengono tale motivo fondato giacché “la richiesta di applicazione della continuazione con l’analogo reato accertato nel 2016 e giudicato con sentenza passata in giudicato – non contenuta nell’atto di appello – era stata avanzata, in via subordinata, nella discussione del giudizio d’impugnazione e dal verbale riassuntivo non risulta se e come fosse stata argomentata”.

La sentenza impugnata ha escluso “il vincolo della continuazione sul mero rilievo che il sequestro delle piante operato nel 2014 in occasione dell’accertamento del fatto per cui è processo” avrebbe “determinato una soluzione di continuità  tra le condotte e dunque una frattura nell’eventuale disegno criminoso”.

Secondo la Suprema Corte tale motivazione è manifestamente illogica, “posto che l’accertamento di un primo reato, anche con eventuale sequestro, non vale di per sé  a ‘spezzare’ l’eventuale sussistenza di un unico disegno criminoso rispetto ad ulteriori, successive, condotte, potendo addirittura rientrare nella preventiva rappresentazione del programma criminoso in termini di alta probabilità”. 

I Giudici affermano che il riconoscimento della continuazione necessita “di una approfondita verifica della sussistenza di concreti indicatori, quali l’omogeneità  delle violazioni e del bene protetto, la contiguità  spazio-temporale, le singole causali, le modalità  della condotta, la sistematicità  e le abitudini programmate di vita, e del fatto che, al momento della commissione del primo reato, i successivi fossero stati programmati almeno nelle loro linee essenziali, non essendo sufficiente, a tal fine, valorizzare la presenza di taluno degli indici suindicati se i successivi reati risultino comunque frutto di determinazione estemporanea.

Con la sentenza 27992/21 del 20 luglio la Corte di Cassazione annulla la sentenza impugnata limitatamente al giudizio sulla sussistenza della continuazione con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Trieste, dichiarando inammissibile nel resto il ricorso.