COVID-19 ed il diritto penale come minaccia

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Le misure limitative introdotte dal decreto-legge e dai dpcm per il contenimento del COVID-19 sono presidiate con sanzioni penali per l’inosservanza dei correlati divieti. Dispone infatti l’art. 3, co. 4 del d.l. n. 6/2020 che “salvo che il fatto non costituisca più grave reato, il mancato rispetto delle misure di contenimento di cui al presente decreto è punito ai sensi dell’articolo 650 del codice penale”. Come noto, si tratta della contravvenzione derivante dell’ “Inosservanza dei provvedimenti dell’autorità” (art. 650 c.p.), che presuppone provvedimenti amministrativi “legalmente dati”. 

È evidente che minacciare sanzioni per l’inosservanza delle misure è funzionale a rafforzare le misure stesse, rendendole effettive. Talvolta, infatti, la minaccia delle sanzioni può far nascere il senso di responsabilità dei cittadini, nell’ottica della prevenzione generale.

In realtà il legislatore ben avrebbe potuto e potrebbe presidiare le misure di contenimento del COVID-19 con illeciti amministrativi punitivi, senza gravare il sistema della giustizia penale, già sovraccarico. Basti pensare, a tale riguardo, che il Ministero dell’Interno ha reso noto che in quattro giorni, tra l’11 e il 14 marzo, sono state denunciate per violazione dell’art. 650 c.p. ben 20.000 persone. Affidarsi ad illeciti amministrativi avrebbe potuto e potrebbe inoltre garantire un maggior tasso di effettività delle sanzioni, irrogabili dagli enti locali. Confermata la scelta “penale”, sarebbe opportuno meditare sulla strada da seguire, ponendo l’alternativa tra la criminalizzazione della trasgressione dei divieti (i.e., delle misure di contenimento) e la punizione delle dichiarazioni mendaci di quanti, fermati per i controlli, accampano questa o quella scusa per sottrarsi alle contestazioni. Sempre secondo i dati del Ministero dell’Interno, tra l’11 e il 14 marzo sono state denunciate per reati di falso (artt. 495 e 496 c.p.) quasi 500 persone.

Come ha autorevolmente sostenuto in una intervista il Prof. Giovanni Maria Flick, la strada dei delitti di falso, pur seguita dalla prassi in questi giorni – anche per effettuare arresti – non persuade. Anzitutto per la difficoltà di ravvisare gli estremi delle false dichiarazioni del privato “in un atto pubblico” e, comunque, su “identità, stato o qualità” della propria persona (cfr. gli artt. 483, 495 e 496 c.p.): chi ad esempio accampi la scusa di essere uscito di casa per portare la spesa ai genitori anziani, avendo in realtà perso entrambi i genitori da tempo, mente ma non certo sulla propria identità, sul proprio stato o sulle proprie qualità. 

Messi fuori gioco i delitti di falso, la tutela penale delle misure di contenimento del COVID-19 si regge su un reato bagatellare. L’art. 650 c.p. prevede, infatti, la pena dell’arresto fino a tre mesi, alternativa alla pena dell’ammenda fino a 206 euro. Si tratta dunque di una contravvenzione per la quale è possibile definire la vicenda penale con l’oblazione (o senza opporsi a un decreto penale di condanna), pagando pochi euro. A questo punto sembra opportuno domandarsi se sia ragionevole fare affidamento all’ art. 650 c.p. (i cui livelli sanzionatori sono obsoleti anche a prescindere dalla vicenda COVID-19) o se non sia invece più opportuno introdurre una figura di reato ad hoc, nella forma del delitto, con previsione di pene più severe, sul lato tanto della pena detentiva e di quella pecuniaria, (accompagnata anche per il caso di trasgressione commessa con un veicolo, dalla confisca dello stesso e dalla sospensione della patente di guida).

Accanto a tali considerazioni è opportuno aggiungere che si tratta di una situazione inedita, rispetto alla quale ognuno di noi, rimanendo a casa e limitando il più possibile le occasioni di contatto sociale, può e deve contribuire a ridurre la capacità diffusiva di un virus che ogni giorno miete vittime, specie tra i soggetti più deboli ed esposti al contagio, e che sta mettendo in crisi il sistema sanitario nazionale.