Aiuto al suicidio assistito: la decisione della Corte Costituzionale 

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La Corte Costituzionale ha comunicato oggi, sul proprio sito ufficiale, l’esito della camera di consiglio sulla questione di legittimità costituzionale dell’art. 580 c.p. Tale norma – rubricata “Istigazione o aiuto al suicidio” – che punisce con la reclusione da cinque a dodici anni “chiunque determina altri al suicidio o rafforza l’altrui proposito di suicidio, ovvero ne agevola in qualsiasi modo l’esecuzione, … se il suicidio avviene”, è stata sottoposta al vaglio della Consulta con ordinanza del 14.02.2018 da parte della Corte d’Assise di Milano.

La Consulta ha stabilito che non è punibile ai sensi dell’art. 580 c.p., a determinate condizioni, “chi agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di un paziente tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetto da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche e psicologiche che egli reputa intollerabili ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli”.

In attesa di analizzare le motivazioni della decisione, che saranno pubblicate nei prossimi giorni, appare utile procedere ad una breve disamina del caso di specie.

Ebbene, la questione traeva origine dal suicidio assistito di Fabiano Antoniani, rimasto tetraplegico e non vedente a causa di un incidente stradale -, che vede attualmente sotto processo dinanzi al collegio milanese Marco Cappato, radicale dell’Associazione Coscioni, imputato del reato di cui all’art. 580 c.p. L’accusa è di aver «rafforzato» il proposito suicidiario di Dj Fabo, sia prospettandogli la possibilità di ottenere assistenza al suicidio presso un’associazione in Svizzera, sia attivandosi per mettere in contatto i suoi familiari con l’associazione stessa e fornendo loro materiale informativo.

Con ordinanza pronunciata in data 14 febbraio 2018, la Corte di assise di Milano ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dell’art. 580 c.p. Le censure prospettate dal collegio milanese riguardavano, in estrema sintesi, due profili:

  • l’ambito di applicazione della norma censurata, la quale incrimina anche le condotte di aiuto al suicidio che non abbiano contribuito a determinare o a rafforzare il proposito della vittima;
  • il trattamento sanzionatorio riservato a tali condotte, in quanto punite con la medesima, severa pena prevista per le più gravi condotte di istigazione.

La Corte Costituzionale, con l’ordinanza 207 del 16 novembre 2018, ha sottolineato come, in assoluto, l’incriminazione dell’aiuto al suicidio non possa essere ritenuta incompatibile con la Costituzione. Devono tuttavia essere considerate situazioni, come quella in esame. Si tratta di ipotesi nelle quali il soggetto agevolato sia una “persona (a) affetta da una patologia irreversibile e (b) fonte di sofferenze fisiche o psicologiche, che trova assolutamente intollerabili, la quale sia (c) tenuta in vita a mezzo di trattamenti di sostegno vitale, ma resti (d) capace di prendere decisioni libere e consapevoli”.

In situazioni come queste l’assistenza di terzi nel porre fine alla sua vita può presentarsi al malato come “l’unica via d’uscita” per sottrarsi, nel rispetto del proprio concetto di dignità della persona, a un mantenimento artificiale in vita non più voluto e che egli ha il diritto di rifiutare in base all’art. 32, c. 2., Cost.

Da qui la decisione della Corte non di eliminare tout court la disposizione censurata, ma di rinviare la questione al Parlamento, invitandolo a legiferare sul punto entro il termine del 24 settembre 2019 (data altrimenti fissata per la decisione di merito sulla questione di costituzionalità): quando – conclude la Corte – “la soluzione del quesito di legittimità costituzionale coinvolga l’incrocio di valori di primario rilievo, il cui compiuto bilanciamento presuppone, in via diretta ed immediata, scelte che anzitutto il legislatore è abilitato a compiere, [è] doveroso – in uno spirito di leale e dialettica collaborazione istituzionale – consentire, nella specie, al Parlamento ogni opportuna riflessione e iniziativa, così da evitare, per un verso, che […] una disposizione continui a produrre effetti reputati costituzionalmente non compatibili, ma al tempo stesso scongiurare possibili vuoti di tutela di valori, anch’essi pienamente rilevanti sul piano costituzionale”. Rispetto alle condotte già realizzate, conclude il comunicato, “il giudice valuterà la sussistenza di condizioni sostanzialmente equivalenti a quelle indicate”.