L’ordinanza n. 17100 depositata il 26 giugno 2019 costituisce un’innovativa pronuncia in materia di adozioni di minori: consente infatti anche alle persone singole ed alle coppie di fatto di prendersi cura del minore (anche qualora l’adottante sia di età piuttosto avanzata ovvero il minore sia affetto da grave handicap).
Con la decisione in commento la Suprema Corte di Cassazione precisa che in casi particolari è possibile valorizzare la consolidata relazione affettiva creatasi tra adottante ed adottato, nel preminente interesse del minore a preservare tale rapporto. Ne deriva che ai fini dell’adozione si pone l’accento sulla qualità del legame instauratosi tra il bambino e chi se ne è preso cura, a discapito di alcuni (finora stringenti) requisiti soggettivi richiesti dagli artt. 6 e 7 della Legge n. 184 del 1983.
Ebbene, il caso traeva origine dalla sentenza del marzo 2016 del Tribunale per i minorenni di Napoli, con la quale si dichiaravano i due coniugi decaduti dalla responsabilità genitoriale sul proprio figlio minore, gravemente malato fin dalla nascita, rilevando lo stato di abbandono in cui versava il bambino e l’assoluta inadeguatezza dei genitori ad occuparsene. Il minore veniva quindi adottato da una donna di sessantadue anni, con la quale instaurava fin da subito un forte legame. Successivamente la declaratoria di decadenza dalla responsabilità genitoriale veniva impugnata, trovando tuttavia conferma anche che in appello.
I coniugi proponevano quindi ricorso in Cassazione lamentando, tra l’altro, che l’adozione del bambino fosse avvenuta in violazione dell’art. 6 della legge n. 184 del 1983 (che prescrive come la differenza di età massima tra adottante ed adottato sia di quarantacinque anni) e senza il loro consenso, richiesto invece dall’art. 46 della medesima legge. Senza considerare – aggiungevano inoltre – che l’adottante era una donna sola, dunque maggiormente bisognosa di aiuto nell’accudire un bambino piccolo, e che il grave quadro clinico del minore avrebbe necessariamente richiesto, a loro avviso, la presenza di entrambe le figure genitoriali.
Nell’esaminare il ricorso la Suprema Corte muove dalla Legge n. 184 del 1983 ed in particolare dal Titolo IV, Capo I, dedicato all’adozione in casi particolari ed ai suoi effetti. La Corte si concentra principalmente sulla previsione dell’art. 44, lettera d) della legge, che consente l’adozione di minori anche non dichiarati in stato di adottabilità ai sensi del precedente art. 7, comma 1 della medesima legge, quando sia constatata l’impossibilità di affidamento pre-adottivo.
Tale previsione – osservano i Giudici – rappresenta una vera e propria clausola di chiusura del sistema, con lo scopo di consentire l’adozione ogniqualvolta sia necessario preservare l’interesse concreto del minore a veder riconosciuti i legami instauratisi con quei soggetti, diversi dai genitori, che se ne prendono cura.
Presupposto imprescindibile è comunque la constatata impossibilità di affidamento pre-adottivo, da intendersi anche come impossibilità di diritto (ad esempio in caso di carenza o di rifiuto di aspiranti all’adozione legittimante). Si tratta infatti di un tipo di adozione particolare – chiarisce la Corte – che a differenza dell’adozione generale non presuppone necessariamente la situazione di abbandono del minore.
Pertanto alla luce di tali considerazioni, la Suprema Corte ha ritenuto – sulla base del preminente interesse del minore – che debba essere preservato il rapporto stabilmente creatosi con l’adottante ed ha respinto il ricorso, condannando altresì i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.