L’io digitale: il diritto all’oblio

  • Categoria dell'articolo:Diritto Civile
  • Tempo di lettura:4 minuti di lettura

L’oblio costituisce nell’era digitale una particolare forma di garanzia, di non diffusione, senza particolari motivi, di precedenti pregiudizievoli dell’onore di una persona, di tutela alla propria reputazione per fatti commessi al passato e che sono divenuti anche oggetto di cronaca.

Se l’era informatizzata ha reso l’io digitale il nostro primo biglietto da visita disponibile per chiunque, l’oblio torna prepotentemente alla ribalta sotto forma di diritto in una prima forma di regolamentazione, a livello comunitario, nel regolamento del 25/06/ 2016. Nel testo si sancisce che ogni interessato ha diritto ad ottenere dal titolare del trattamento la cancellazione dei dati personali che lo riguardano senza ingiustificato ritardo. Tale diritto, tuttavia, viene meno quando la diffusione di determinate informazioni sia necessaria per l’esercizio del diritto alla libertà di espressione e di informazione, per l’adempimento di un obbligo legale o per l’esecuzione di un compito svolto nel pubblico interesse o nell’esercizio di pubblici poteri, per motivi di interesse pubblico nel settore della sanità pubblica, e ai fini di archiviazione nel pubblico interesse, di ricerca scientifica o storica o a fini statistici o per l’accertamento. Nonostante l’emanazione del regolamento, tuttavia il diritto all’oblio non conosce un’espressa regolamentazione nel nostro ordinamento interno, resta infatti di matrice esclusivamente giurisprudenziale. Del resto agli Stati membri sono stati concessi due anni di tempo a partire dall’entrata in vigore del regolamento (quindi sino al 25/05/2018) per l’adattamento alle previsioni dell’Unione.

La prima rilevante pronuncia in materia è rappresentata da quella resa dai giudici comunitari il 13/05/2014 a definizione della controversia C-131/2012, protagonista nell’ aver ispirato le corti interne nel riconoscimento del diritto ad essere dimenticati. Nel caso di specie, la Corte ritiene meritevole di tutela la pretesa di un soggetto di non vedere comparire tra gli elenchi dei risultati delle ricerche delle pagine web che ospitano contenuti che lo riguardano qualora questi gli arrechino pregiudizio e sia trascorso un lasso di tempo dalla pubblicazione della notizia tale da non giustificare più la permanenza nel pubblico dominio di queste informazioni. Si è affermato che ogni interessato, in virtù di quanto sancito dagli articoli 7 e 8 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, può richiedere che una determinata informazione presente sul web non venga più messa a disposizione degli internauti: la prevalenza del diritto all’oblio del singolo individuo rispetto all’interesse economico del gestore del motore di ricerca e a quello del grande pubblico, infatti, viene meno solo dinanzi a un evidente interesse pubblico alla conoscenza del fatto.

La pronuncia della Corte di giustizia ha valicato i confini degli ordinamenti nazionali: in Italia, ad esempio, merita di essere menzionata la sentenza n. 23771 del 03/12/2015 emessa dal Tribunale di Roma con la precisazione che il diritto all’oblio non è altro che una peculiare espressione del diritto alla riservatezza. Esso, di conseguenza, rende ogni cittadino legittimato a chiedere al singolo motore di ricerca che siano rimossi i contenuti delle pagine web che lo dipingono in maniera non attuale e che sono idonei a ledere la propria reputazione e la propria riservatezza.

Dopo la discussa sentenza dei giudici di Lussemburgo, Google ha messo a disposizione un modulo online da compilare per la cancellazione di informazioni che ci riguardano (https://support.google.com/legal/contact/lr_eudpa?product=websearch). La richiesta deve essere corredata della specificazione dei motivi che la sostengono e di un documento di identità del richiedente e deve essere presentata nella consapevolezza che la cancellazione non è immediata n’è tanto meno automatica. Ogni domanda sarà valutata con attenzione e cercando di bilanciare i diritti sulla privacy della persona con il diritto di tutti di conoscere e distribuire le informazioni. Google valuterà infine se i link per cui viene richiesta la rimozione rinviino ad informazioni effettivamente obsolete e non più rilevanti, oppure a dati di interesse pubblico che pertanto non subiranno l’oblio.

Più in generale, qualora un sito non cancelli il nome della persona interessata, questa può rivolgersi al tribunale chiedendo un provvedimento di urgenza che imponga al titolare del sito di rispettare il contenuto del diritto all’oblio. Se l’inadempimento è debitamente provato, è possibile anche chiedere il risarcimento dei danni. Specifica inoltre la Corte di Cassazione nella sent. del 29/01/ 2015 che il mancato rispetto del diritto in esame, può condurre anche al sequestro preventivo del sito, soprattutto se questi non sia una testata giornalista, poiché solo in quel caso godrebbe della garanzia di insequestrabilità.

Se i server del sito, invece, sono all’estero e non in Italia, il giudice non può disporre il sequestro preventivo ma può presentare domanda per l’oscuramento, impedendo agli utenti italiani di accedervi attraverso i provider