E’ legittima la soluzione “fai da te” quando si tratta di ristabilire i propri diritti violati negli spazi comuni del condominio

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Corte di Cassazione, sentenza n. 2500 del 04.02.2013

La Corte di Cassazione con la sentenza in esame ha precisato che il condominio che compie una sopraelevazione non può sostituire al tetto un terrazzo da destinare a uso esclusivo perché sottrae un bene comune all’uso stabilito.
Per la Corte la sopraelevazione è ravvisabile solo in presenza di un intervento edificatorio che comporti lo spostamento in alto della copertura del fabbricato, del tetto o del lastrico solare, in modo da interessare la colonna d’aria sovrastante lo stabile.
Nell’ipotesi di sopraelevazione, quindi, si sostituisce il diritto dei condomini sulla superficie terminale del fabbricato su un identico bene posto a una quota superiore.
Ne consegue, ha concluso il collegio, che non si può considerare sopraelevazione legittima la realizzazione di un terrazzo a uso esclusivo al posto del tetto comune.

Corte di Cassazione , sentenza n. 14633 del 24.08.2012

La Corte di Cassazione con la sentenza in esame ha precisato che anche se il vialetto condominiale di accesso ai garage permetterebbe oltre al transito anche la sosta dei veicoli, è sufficiente che la sosta delle autovetture renda meno agevole la manovra degli altri condomini per decretarne il divieto.
La Suprema corte ha così condiviso il giudizio di Appello secondo cui il parcheggio abituale sullo stradello “priva gli altri condomini della possibilità di utilizzare pienamente tale spazio comune, rendendo meno agevoli le manovre di entrata e di uscita dai garage”, come accertato dal giudice di primo grado durante un sopralluogo da cui era emerso che per passare era “indispensabile mettere le macchine a filo per evitare problemi nell’affiancamento delle autovetture”. Dunque, “una simile utilizzazione viene e limitare l’uso del bene comune secondo la sua destinazione naturale ed a compromettere il pari diritto di godimento degli altri condomini”.

Tribunale di Torino, ordinanza del 23.07.2012

Il Tribunale di Torino con la sentenza in esame ha precisato che un decreto ingiuntivo notificato all’indirizzo sbagliato deve ritenersi giuridicamente inesistente e dunque ner va dichiarata l’inefficacia in base all’articolo 188 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile. Lo ha deciso la terza sezione civile del tribunale di Torino, sciogliendo una riserva nel corso di un procedimento promosso da un condominio che chiedeva la dichiarazione di inefficacia di un decreto ingiuntivo promosso da una società a responsabilità limitata perché l’ingiunzione era stata notificata presso lo studio tecnico del vecchio amministratore.

Corte di Cassazione, sentenza n. 12841 del 23.07.2012

La Corte di Cassazione, con la sentenza in esame ha precisato che non può essere emesso decreto ingiuntivo nei confronti del venditore dell’appartamento per le quote condominiali non pagate. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione respingendo il ricorso del nuovo acquirente contro un decreto ingiuntivo emesso nei suoi confronti per gli arretrati non pagati dal precedente proprietario.
Secondo i giudici, infatti, “una volta perfezionatosi il trasferimento della proprietà di una unità immobiliare, non può essere chiesto ed emesso nei confronti dell’alienante, in capo al quale è cessata la qualità di condomino, decreto ingiuntivo per la riscossione dei contributi condominiali, atteso che l’obbligo di pagamento di questi ultimi sorge dal rapporto di natura reale che lega l’obbligato alla proprietà dell’immobile, con la conseguente legittimità dell’emissione del provvedimento monitorio nei confronti del subentrato acquirente diventato effettivo condomino (salvo il suo diritto di rivalsa nei confronti del dante causa)”.

Corte di Cassazione, sentenza n. 12485 del 19.07.2012

La Corte di Cassazione con la sentenza in esame ha precisato che l’assemblea condominiale può imporre turni nell’utilizzo dei posti auto disponibili e vietare, proprio per la logica dell’avvicendamento, di poter occupare, al di fuori del proprio turno, spazi lasciati temporaneamente vuoti da altri. La Corte ha rigettato il ricorso presentato da un uomo contro la sentenza della Corte d’appello di Roma che aveva confermato la legittimità di una delibera del suo condominio: in essa, dato il numero insufficiente di posti auto rispetto ai residenti (11 posti e 12 condomini) si stabiliva la regola della turnazione, che non poteva essere infranta neanche se il condomino avente diritto in quel momento non usufruiva dello spazio per la macchina.

Corte di Cassazione, sentenza n. 10860 del 02.07.2012

La Corte di Cassazione con la sentenza in esame ha precisato che il condominio deve risarcire il minore che rimane schiacciato dal portone. Lo ha stabilito la Corte di cassazione, con la sentenza 10860/2012, accogliendo il ricorso dell’infortunato, ormai maggiorenne, in quanto la responsabilità per cose in custodia ha natura oggettiva.
La Suprema Corte nel rinviare il giudizio di merito al tribunale di Santa Maria Capua Vetere, infatti, ha affermato il seguente principio di diritto “la responsabilità ex articolo 2051 del codice civile per i danni cagionati da cose in custodia ha carattere oggettivo; perché essa possa, in concreto, configurarsi è sufficiente che l’attore dimostri il verificarsi dell’evento dannoso e del suo rapporto di causalità con il bene, salvo la prova del fortuito, incombente sul custode”.

Corte di Cassazione, sentenza n. 25225 del 26.06.2012

La Corte di Cassazione con la sentenza in esame ha precisato che solo se i rumori molesti arrivano a disturbare la quiete pubblica di «un numero indeterminato di persone» al di fuori del palazzo, allora si può ricorrere al giudice penale per imporre un po’ di tranquillità. Fare rumore in condominio, insomma, non è reato. Al massimo si può agire in sede civile per ottenere una sanzione nei confronti dei condomini molesti.
A spiegarlo è la Corte di cassazione che ha annullato una condanna del Tribunale di Belluno a tre persone, una famiglia della stessa città, denunciate dall’amministratore di condominio e da cinque condomini per aver provocato rumori eccessivi «sbattendo con violenza le porte dell’appartamento e d’ingresso condominiale, urlando immotivatamente sulle scale del condominio, nonché sbattendo tavoli e sedie sul pavimento dell’appartamento da essi occupato». Ma tutto questo non è reato, dice la Cassazione.
In questo caso, invece, «non risulta la sussistenza di tale essenziale elemento – scrivono i giudici – essendo emerso dagli atti di causa che gli unici soggetti danneggiati dai rumori molesti causati dagli odierni ricorrenti sono stati i cinque condomini occupanti la palazzina e che detti rumori sono rimasti circoscritti all’interno di detto stabile senza essersi mai propagati all’esterno. Va pertanto ritenuto che i fatti denunciati siano privi di rilevanza penale e tali da poter trovare tutela solo in sede civile con conseguente annullamento senza rinvio della sentenza impugnata».

Corte dei Cassazione, sentenza n. 7162 del 10.05.2012

La Corte di Cassazione con la sentenza in esame ha precisato che la banca può rivalersi direttamente sul condominio in caso di uno scoperto nel conto acceso dall’amministratore. L’amministratore per aprire il conto non ha bisogno di specifiche autorizzazioni dell’ assemblea che servirebbero nel caso dell’apertura di una linea di credito.
La Corte chiarisce poi che “se non si può affermare che addirittura la mancata apertura di un conto corrente separato rispetto al patrimonio personale dell’amministratore costituirebbe irregolarità tale da comportarne la revoca del mandato, si può sostenere che, pur in assenza di specifiche norme che ne facciano obbligo, l’amministratore è tenuto a far affluire i versamenti di quote condominiali su apposito e separato conto corrente intestato al condominio”. E ciò “per evitare confusioni e sovrapposizioni tra il patrimonio del condominio e il suo personale”. Oltre ad una “esigenza di trasparenza e di informazione” di tutti i condomini che intendano “verificare la destinazione dei propri esborsi” e “la gestione condominiale”

Corte di Cassazione, sentenza n. 5984 del 16.4.2012

La Corte di Cassazione con la sentenza in esame ha precisato che l’amministratore incaricato di nominare un tecnico per eseguire i lavori nel condominio non può liquidare la parcella se non ha ricevuto un mandato esplicito dell’assemblea.
La Suprema Corte ha precisato che laddove si versi “in fattispecie di amministrazione straordinaria, l’iniziativa dell’amministratore senza la preventiva deliberazione dell’assemblea è consentita solo se tali lavori presentino il carattere dell’urgenza, sicché, difettando tale presupposto, le iniziative assunte dall’amministratore stesso con riguardo ad attività straordinaria non creano obbligazioni per i condomini”.

Corte di Cassazione, sentenza n. 1289 del 31.01.2012

La Corte di Cassazione con la sentenza in esame ha precisato che il titolo esecutivo ottenuto contro il condominio non può essere fatto valere in executivis contro il singolo condomino quale obbligato in solido se egli non è stato messo nelle condizioni di conoscerlo prima e dunque anche di adempiervi. Lo ha stabilito la Corte di cassazione, accogliendo il ricorso di un condomino residente a Catania. Le Sezioni Unite, con la sentenza in oggetto, del resto, avevano già chiarito che la responsabilità del condomino è solo parziale in proporzione alla sua quota, anche nei rapporti esterni.
Per la Suprema corte, dunque: “È di tutta evidenza che, se una nuova notificazione del titolo esecutivo non occorre per il destinatario diretto del decreto monitorio”, nell’ipotesi prevista dal secondo comma dell’articolo 654 del Cpc, “detta notificazione, invece, è necessaria qualora si intenda agire contro un soggetto, non indicato nell’ingiunzione, per la pretesa sua qualità di obbligato solidale”. “Costui, invero – prosegue la sentenza – deve essere messo in grado non solo di conoscere qual è il titolo ex articolo 474 del Cpc in base al quale viene minacciata in suo danno l’esecuzione, ma anche di adempiere l’obbligazione da esso risultante entro il termine previsto”, dall’articolo 480 del codice di procedura.

Corte di Cassazione, sentenza n. 16230 del 25.07.2011

La Corte di Cassazione con la sentenza in esame ha precisato che l’azione contro il costruttore inadempiente, perché non ha realizzato il giardino condominiale ma anzi vi ha costruito un magazzino per sé, può essere esercitata direttamente dall’amministratore. Non c’è dunque bisogno di un esplicito mandato da parte dell’assemblea, in quanto l’azione rientra fra gli <> delle parti comuni.
Per la Suprema Corte, infatti, la costruzione di un magazzino, comportando la perdita per i condomini dell’uso di un’area condominiale, va tutelata attraverso l’esercizio di una attività <>, che il codice civile fra rientrare tra gli obblighi dell’amministratore. Una azione, dunque, <> e non di <> di diritti di proprietà, per esercitare la quale <>.
La Cassazione dunque ha espresso il seguente principio di diritto: <>.

Corte di Cassazione, sentenza n. 15308 del 12.07.2011

La Corte di Cassazione con la sentenza in esame ha precisato che il condomino non può lamentare una lesione del diritto a godere del pianerottolo perché ristretto a seguito dell’installazione di un ascensore. A prevalere, infatti, è il più generale interesse dei condomini. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione in oggetto con la quale ha ribaltato le conclusioni della Corte di Appello di Napoli che invece aveva riconosciuto le ragioni della proprietaria ricorrente, a sua volta rovesciando la decisioni in primo grado.
Per i giudici infatti “nell’identificazione del limite all’immutazione della cosa comune, disciplinato dall’articolo 1120, II comma, codice civile, il concetto di inservibilità della stessa non può consistere nel semplice disagio subito rispetto alla sua normale utilizzazione – coessenziale al concetto di innovazione – ma è costituito dalla concreta inutilizzabilità della res communis secondo la sua fruibilità; si può tener conto di specificità – che possono costituire ulteriore limite alla tollerabilità della compressione del diritto del singolo condominio – solo se queste costituiscano una inevitabile e costante caratteristica di utilizzo”.

Corte di Cassazione sentenza n. 1273 del 21.6.2011

La Corte di Cassazione con la sentenza in esame ha precisato che per la videosorveglianza privata, è necessaria la delibera all’unanimità.
Scatta la rimozione per la telecamera anti-ladri che il singolo condomino installa di sua iniziativa ma che inevitabilmente riprende anche parti comuni dell’edificio. È quanto emerge dall’ordinanza emessa dalla sezione civile del tribunale di Varese.
In Italia esiste un vero e proprio vuoto normativo sulla disciplina delle riprese filmate per la protezione degli immobili e dei residenti. Nel silenzio della legge, ma di fronte a inequivocabili principi costituzionali e sopranazionali, il giudice ordina la rimozione dell’impianto che per tutelate il proprietario lede la privacy altrui: la telecamera, fra l’altro, ha un angolo visuale che investe sia pure parzialmente anche luoghi di privato domicilio. E dunque va oscurata. Ma c’è di più, non basta una semplice delibera dell’assemblea ad autorizzare l’installazione di un impianto di ripresa: il via libera all’occhio elettronico può scattare soltanto con una decisione all’unanimità dei condomini, perché il consenso di tutti è idoneo a fondare gli effetti tipici di un negozio dispositivo dei diritti coinvolti.

Corte di Cassazione, sentenza n. 10717 del 16.05.2011

La Corte di Cassazione con la sentenza in esame ha precisato che i singoli condomini possono sempre intervenire “autonomamente” a tutela dei propri diritti ed anche impugnare direttamente le decisioni del tribunale quando a portare avanti la causa del condominio è l’amministratore. Con tale principio la Corte ha rigettato il ricorso di un mobilificio che aveva fatto causa ad un complesso residenziale per risarcimento del danno.
Per la Srl, che è ricorsa in Cassazione, la Corte di Appello aveva sbagliato a non rilevare d’ufficio la “nullità dell’appello perché proposto da soggetti diversi dalle parti del giudizio di primo grado”. Secondo i giudici di Piazza Cavour “se è vero che la legittimazione ad appellare deve essere riconosciuta soltanto ai soggetti che siano stati parti del giudizio di primo grado”, e che siano soccombenti, “deve però tenersi presente in senso contrario, che, configurandosi il condominio come un ente di gestione sfornito di personalità giuridica distinta da quella dei singoli condomini” la sola “esistenza dell’amministratore non priva i singoli condomini della facoltà di agire a difesa dei diritti esclusivi e comuni inerenti all’edificio condominiale”. Dunque, i condomini, devono essere considerati “non terzi, ma parti originarie” e possono “intervenire nel giudizio in cui la difesa dei diritti sulle parti comuni sia stata già assunta dall’amministratore”.

Corte di Cassazione, sentenza n. 939 del 18.01.2011

La Corte di Cassazione con la sentenza in esame ha precisato che non conta soltanto il limite di legge ai fini della tollerabilità di un’immissione sonora. Risulta invece necessario considerare anche lo stato dei luoghi in cui il rumore viene prodotto: l’articolo 844 Cc, infatti, impone di contemperare l’esercizio delle attività produttive con la tutela del diritto di proprietà. Accolto, contro le conclusioni del pm, il ricorso dell’avvocato disturbato dal grande ventilatore posto dal negozio attiguo al confine con l’immobile di proprietà del professionista, utilizzato come studio professionale e abitazione. Dopo la doppia sconfitta in sede di merito, l’avvocato segna un importante punto a suo favore. Non ha infatti un carattere assoluto il limite civilistico alla tollerabilità delle immissioni sonore, costituito dalle soglie indicate da leggi e dai regolamenti (lo scostamento dagli standard, nella specie, risultava soltanto in una piccola parte dell’immobile di proprietà del professionista). La Corte d’appello, invece, non ha effettuato una verifica necessaria: non è stato controllato se i rumori dell’impianto di climatizzazione del vicino nuocessero o meno alle attività quotidiane, professionali e private, dell’avvocato. Sarà allora il giudice del rinvio a chiudere la controversia, tenendo conto di due elementi: è vero, il negozio e lo studio professionale sono entrambi luoghi ove si svolge un’attività produttiva, ma equipararli è sbagliato perché nel secondo si svolge un’opera di ricerca e di studio che impone particolare tranquillità; nel contemperare le esigenze fra attività produttiva e diritto alla salute, poi, è necessario dare priorità al secondo, la cui tutela deve essere ritenuta intrinseca all’esercizio della prima.

Corte di Cassazione, sentenza n. 939 del 17.01.2011

La Corte di Cassazione con la sentenza in esame ha precisato che nei rapporti di vicinato le immissioni rumorose possono essere illecite anche quando non è superato il limite di accettabilità stabilito dalla legge. Lo ha chiarito la seconda sezione civile della Cassazione con la sentenza 939/2011 secondo la quale in materia di immissioni, mentre è senz’altro illecito il superamento dei limiti stabiliti dalle leggi e dai regolamenti che, disciplinando le attività produttive, fissano nell’interesse della collettività le modalità di rilevamento dei rumori e i limiti massimi di tollerabilità, l’eventuale rispetto degli stessi non può far considerare senz’altro lecite le immissioni, dovendo il giudizio sulla loro tollerabilità formularsi alla stregua dei principi previsti dall’articolo 844 del codice civile.

Corte di Cassazione, Sezioni Unite, sentenza n. 18477 del 09.08.2010

La Corte di Cassazione a Sezioni unite con la sentenza in esame risolve all’insegna della semplificazione l’annosa questione delle maggioranze necessarie per la variazione delle tabelle millesimali. Non sarà dunque necessario per approvare modifiche o variazioni alla ripartizione dei millesimi il consenso unanime dei condomini “essendo sufficiente la maggioranza qualificata di cui all’art. 1136, secondo comma, cod. civ.”. Nella sentenza si legge infatti che: “La deliberazione che approva le tabelle millesimali non si pone come fonte diretta dell’obbligo contributivo del condominio, che è nella legge prevista, ma solo come parametro di quantificazione dell’obbligo, determinato in base ad una valutazione tecnica”. Per cui, secondo i giudici della Suprema Corte, mentre “caratteristica propria del negozio giuridico a conformazione della realtà oggettiva alla volontà delle parti” al contrario l’atto di approvazione della tabella “fa capo ad una documentazione ricognitiva di tale realtà onde il difetto di note negoziali”.

Corte di Cassazione, SS.UU., sentenza n. 18331 del 6.8.2010

È sufficiente la ratifica perché l’atto di costituzione in giudizio o di impugnazione presentato dall’amministratore di condominio non sia inammissibile. Ad affermarlo sono le Sezioni Unite civili della Corte di cassazione nella sentenza in oggetto, con la quale non si ritiene indispensabile l’autorizzazione dell’assemblea affinchè l’amministratore possa costituirsi in giudizio o impugnare una sentenza sfavorevole. I giudici spiegano infatti che il legame tra il potere gestorio dell’assemblea e l’attività esecutoria dell’amministrazione deve essere raccordato con la legittimazione passiva generale attribuita all’amministratore dall’articolo 1131, secondo comma, Cc.. Questa legittimazione bilancia l’esigenza di agevolare i terzi e la necessità di tempestiva difesa dei diritti inerenti le parti comuni dell’edificio e deve ritenersi immanente al complessivo assetto normativo condominiale. La ratifica vale a sanare l’operato “d’urgenza” dell’amministratore.

Corte di Cassazione, sentenza n. 6714 del 19.3.2010

La Corte di Cassazioen con la sentenza in esame ha precisato che sono nulle le delibere condominiali approvate a maggioranza che modificano i criteri di ripartizione delle spese comuni in difformità a quanto previsto dall’articolo 1123 del codice civile o dal regolamento condominiale. Per la Corte in questo caso è necessario il consenso unanime dei condomini. Diversa è invece l’ipotesi, ha spiegato il collegio, in cui l’assemblea determina in concreto la ripartizione delle spese in difformità ai criteri di legge. In questa circostanza, infatti, le delibere sono solo annullabili nel termine di decadenza di trenta giorni

Corte di Cassazione, sentenza n. 2548 del 21.01.2010

La Suprema Corte con la sentenza in esame ha precisato che è legittima la soluzione “fai da te” quando si tratta di ristabilire i propri diritti violati negli spazi comuni del condominio. Anche se questo comporta l'”uso di una violenza reale” sulle cose. Con tele principio la Corte ha assolto un condomino dal reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni per aver reciso una catena, un paletto e un lucchetto messi da un altro abitante dello stabile per “proteggere il suo posto auto” e chiudere il cancello del parcheggio. Una tutela eccessiva – che finiva per annullare il diritto di accesso degli altri residenti – a cui il ricorrente aveva reagito passando alle vie di fatto. Armato di tronchesi aveva prontamente reciso tutti gli ostacoli frapposti tra lui e il suo posto macchina, guadagnando il libero accesso al parcheggio, ma anche due condanne, in primo grado e in appello, per il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza sulle cose. Secondo i giudici di prima e seconda istanza, la strada da percorrere non era, infatti, quella dello scasso ma la via legale. Di parere diverso gli ermellini che, forse consapevoli dei tempi della giustizia, hanno avallato l’uso della forza, magari ingentilita dall’uso del latino, richiamando il principio “vim vi repellere licet”. Secondo il Collegio di piazza Cavour la difesa privata di un diritto di possesso può essere esercitata, anche con “l’uso di una violenza reale”, da parte di chi viene privato di tale diritto. La Suprema corte pone però la condizione: l’atto di forza deve avvenire nell’immediatezza dell’azione lesiva. Perché la necessità di tutelarsi non è urgente la parola deve passare al giudice.