I giudici del Tribunale di Torino hanno sancito la condanna di una donna accusata di stalking nei confronti della sua vicina di casa. La sentenza, confermata in appello e successivamente dalla Cassazione, ha riconosciuto la gravità dei comportamenti persecutori perpetrati dalla donna, che hanno causato alla vittima un perdurante stato di ansia e paura, portandola a modificare drasticamente le proprie abitudini di vita.
Secondo quanto emerso nel processo, la donna additata come stalker avrebbe iniziato a prendere di mira la sua vicina di casa nel 2009, mettendo in atto una serie di reiterate e gravi molestie che hanno avuto un impatto significativo sulla vittima. Tra le condotte moleste riportate dagli inquilini del palazzo, figura il lasciare buste dell’immondizia volutamente davanti alla porta della persona offesa, creando un ambiente ostile e sgradevole. Inoltre, la donna avrebbe generato rumori molesti appositamente provocati, disturbando la quiete domestica anche durante le ore notturne e mattutine.
La Cassazione ha respinto le obiezioni sollevate dal legale della donna sotto processo, sostenendo che il quadro probatorio presentato in primo e secondo grado è risultato decisivo per accertare le conseguenze negative subite dalla vittima. Testimonianze di inquilini residenti nello stesso stabile hanno confermato il mutamento delle abitudini di vita della persona offesa, che si sentiva costretta ad evitare di entrare nell’edificio da sola per via del terrore che provava, o a modificare il proprio percorso di uscita. Lo stato di ansia e stress a cui era costretta a far fronte è stato ritenuto un elemento fondamentale per sostenere l’accusa di stalking.
La gravità delle molestie perpetrate dalla donna verso la sua vicina di casa è stata enfatizzata nel corso del processo. Biglietti offensivi collocati sull’auto della stalker, riproduzioni fotografiche a testimonianza dei suoi comportamenti offensivi e l’atto di abbassarsi i pantaloni e mostrare le natiche rivolto alla porta dell’abitazione della vittima, visibile attraverso lo spioncino, sono solo alcuni degli episodi riportati. Inoltre, la donna ha lasciato sacchetti della spazzatura davanti alla porta della persona offesa e ha collocato sul cruscotto della propria vettura biglietti inequivocabilmente rivolti alla vittima, che la istigavano al suicidio.
Con la sentenza numero 25597 del 14 giugno la Corte di Cassazione rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali. Condanna, inoltre, l’imputata alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile.