Il caso
Un uomo si introduceva insieme ad alcuni amici nell’abitazione in comune con il fratello con lo scopo di fargli uno scherzo. La vittima dello scherzo viene sorpresa nel sonno all’interno della sua camera da letto e il tutto viene registrato e divulgato via chat.
Il Tribunale di Catanzaro ravvisa gli estremi del reato di violazione di domicilio affermando che l’inidoneità di uno degli “intrusi” all’ammissione nella casa (si tratta infatti di una persona dedita al consumo di alcolici e affetto da ritardo mentale) non esclude la materialità del fatto e l’esistenza della situazione di pericolo provocata dalla diffusione del video dell’intrusione.
Un indagato propone ricorso per cassazione appellandosi al consenso all’accesso nell’abitazione prestato da uno dei coabitanti.
Il ricorso viene dichiarato infondato e al riguardo la Suprema Corte osserva che in caso di coabitazione ciascun coabitante gode dello ius excludendi.
Nel caso di specie è chiaro che i fini illeciti degli agenti superino la presunzione di consenso da parte del fratello vittima dello scherzo.
Sussistendo tra i fratelli una relazione di coabitazione e non di qualificata convivenza il consenso all’accesso prestato da uno solo dei fratelli coabitanti si limita alle zone comuni e alle aree di esclusiva pertinenza del coabitante in questione.
L’accesso degli “intrusi” nella camera da letto della vittima, in assenza di un suo evidente consenso all’accesso delinea un chiaro reato di violazione di domicilio.
(Corte di Cassazione, sentenza n. 31276/20 del 9 novembre)