Barista condannata per aver servito un cocktail contenente “batida de coco” ad una cliente che aveva apertamente dichiarato di essere allergica alle proteine del latte.
La Corte d’Appello di Roma confermando la sentenza emessa dal Tribunale capitolino condannava la donna per il delitto di omicidio colposo in danno della cliente all’epoca dei fatti minorenne.
Avverso tale decisione proponeva ricorso la barista a mezzo del proprio legale di fiducia lamentando tra i vari motivi la violazione degli artt. 40 e 41 c.p., contestando la sussistenza del nesso causale ravvisato dai giudici di merito e indicando come responsabile dell’accaduto il gestore del locale, “per non avere egli posto in essere iniziative finalizzate all’accertamento della maggiore età degli avventori cui venivano somministrati alcolici, né di avere fornito le opportune istruzioni alla dipendente”.
La Suprema Corte ritiene infondato tale motivo di ricorso in quanto nel caso di specie “l’indagine non deve indirizzarsi verso l’individuazione di un soggetto su cui gravi un obbligo giuridico di impedimento dell’evento, ma piuttosto, ed esclusivamente, verso la ricostruzione del rapporto tra la condotta attiva e l’evento mediante un procedimento di eliminazione mentale, ossia rappresentandosi cosa sarebbe successo ove la condotta censurata non fosse stata posta in essere”.
Le rassicurazioni della barista avevano portato la cliente a bere con fiducia il cocktail contenente la “batida de coco”, rivelatasi poi fatale.
A fronte delle informazioni date dalla cliente riguardo alla propria condizione di soggetto allergico la ricorrente avrebbe dovuto dimostrare una maggiore prudenza e diligenza in ordine ai rischi di conseguenze dannose per la giovane.
Con la sentenza n. 46096 (depositata il 6 dicembre 2022) a Corte di Cassazione rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.