La società di gestione delle autostrade è responsabile anche delle omissioni

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Consiglio di Stato sez. III sentenza 21/08/2015 n.3975

FATTO e DIRITTO
1.Con decreto 22 agosto 2005, n. 827/05-1/28 PA (notificato il 4.10.2005), il Prefetto di Treviso vietava a Sc. Gi., guardia giurata in servizio presso l’Istituto “Vigilanza della Marca Trevigiana”, di detenere armi e munizioni (ai sensi dell’art. 39 del TULPS), in quanto era stato informato dal Questore di Treviso che, a seguito di perquisizione domiciliare, la suddetta guardia giurata era stata denunciata alla competente Procura della Repubblica per violazione degli artt. 648 e 697 c.p., nonché dell’art. 38 TULPS per detenzione di munizioni senza autorizzazione e di una pistola in luogo diverso da quello dichiarato, nonché per il possesso di un ciclomotore risultato rubato.
1.1.Avverso tale provvedimento l’interessato ha proposto ricorso al T.A.R. del Veneto (R.G. 2801/2005), chiedendone l’annullamento, previa sospensione, per violazione di legge ed eccesso di potere, dedotti con sei articolati motivi.
Con ordinanza cautelare18 gennaio 2006, n. 23, il TAR adito ha accolto l’stanza di sospensione del decreto 22.8.2005
Successivamente, però, il Prefetto di Treviso, con provvedimento 2.2.2006 ha reiterato a carico dell’interessato il divieto di detenere armi e munizioni e poi con decreto 18 marzo 2006, n. 2857, ha revocato il decreto di nomina a guardia giurata e la licenza di porto d’armi, ritenendo non sussistente il requisito della buona condotta prescritta per l’esercizio dell’attività di guardia giurata.
1.2.Avverso il decreto di revoca l’interessato ha proposto un nuovo ricorso davanti al T.A.R. Veneto (R.G. 1462/2006), chiedendone l’annullamento, previa sospensione, per violazione di legge ed eccesso di potere, dedotti con sei articolati motvi.
Con ordinanza n. 25 luglio 2006, n. 617, il TAR Veneto, ha accolto la domanda cautelare.
1.3.Nel frattempo, il 17 marzo 2006, l’Istituto Vigilanza della Marca Trevigiana ha disposto il licenziamento del ricorrente, invocando all’uopo l’art. 106 del CCNL della categoria, che consente la risoluzione del rapporto di lavoro quando in capo alla guardia giurata sia stata constatata la mancanza dei requisiti essenziali per “180 giorni di calendario”.
Il Giudice del Lavoro del Tribunale di Treviso, adito dall’interessato, con sentenza del 22 ottobre 2007 ha respinto il ricorso, ritenendo il licenziamento legittimo per giustificato motivo.
1.4.Preso atto dell’esito negativo del giudizio avverso il licenziamento, l’interessato notificava “motivi aggiunti” in data 16.11.2007 (depositati il 21 novembre 2007) nel ricorso R.G. 1462/2006, chiedendo all’Amministrazione dell’Interno il risarcimento del pregiudizio patrimoniale subito per la perdita del posto di lavoro.
L’Amministrazione dell’Interno, costituitasi in giudizio, chiedeva il rigetto dei motivi aggiunti, deducendo che l’interessato non poteva avanzare pretese risarcitorie, in quanto era stato negligente nel giudizio innanzi al Giudice del Lavoro, non avendo azionato la circostanza che i provvedimenti prefettizi, sospesi in sede cautelare dal TAR Veneto, in realtà, non avevano avuto efficacia per i 180 giorni, invocati a fondamento dl licenziamento.
In seguito, nell’imminenza della pubblica udienza del 14.2.2008 (fissata per la decisione di entrambi i ricorsi), l’Amministrazione resistente depositava in giudizio i provvedimenti 23 gennaio 2007 e 8 febbraio 2007, con i quali il Prefetto di Treviso, vista la nota di assunzione da parte dell’Istituto di vigilanza “C.I.V.I.S. spa”, aveva rilasciato di nuovo all’interessato sia la qualifica di guardia particolare giurata, quale dipendente dell’Istituto di vigilanza “C.I.V.I.S. spa di Villorba, sia la relativa licenza di porto d’armi,
1.5.Decisi congiuntamente i due ricorsi con sentenza 15 aprile 2008, n. 960, il T.A.R. Veneto ha dato atto che al momento della decisione gli atti impugnati avevano cessato i loro effetti, essendo stati emessi i nuovi provvedimenti del gennaio e febbraio 2007 con i quali all’interessato erano state restituite la licenza di porto d’armi e la qualifica di guardia giurata, ma non ha ritenuto sussistenti i presupposti per dichiarare i ricorsi improcedibili, osservando che l’interesse a ricorrere sussisteva ancora, al limitato fine della domanda risarcitoria (proposta con i motivi aggiunti) e, quindi, ha annullato i provvedimenti impugnati, in quanto le circostanze di fatto poste a base della loro motivazione non apparivano sufficienti a giustificarli e, di conseguenza, accogliendo in parte nel quantum la domanda del ricorrente, ha condannato l’Amministrazione dell’Interno al risarcimento dei danni corrispondenti agli stipendi non percepiti per effetto del licenziamento da parte del suo originario datore di lavoro, non nel quantum di 20 mensilità di € 880,00 ciascuna, ma nella più limitata misura derivante dal computo a suo favore dell’indennità di malattia sino al mese di febbraio 2006 e poi dalla circostanza che fra il gennaio ed il febbraio 2007, comunque, era stato assunto dall’Istituto di Vigilanza “C.I.V.I.S.”.
Pertanto il T.A.R., riconosciuto in capo al ricorrente il diritto al risarcimento del danno in misura pari alle effettive retribuzioni mensili non percepite, con l’aggiunta sulla somma dovuta di interessi legali e rivalutazione monetaria,.poi ha rimesso la liquidazione del danno alla procedura di cui all’art. 35 del d.lgs. n. 80/1998, onerando l’amministrazione di formulare la relativa proposta entro 90 giorni; spese a carico dell’amministrazione resistente per entrambi i giudizi riuniti.
1.6. Avverso tale sentenza il Ministero dell’Interno ha proposto appello davanti a questo Consiglio (notificato 11-12 luglio 2008), chiedendone l’annullamento in parte qua, con unico articolato motivo, nella misura in cui ha condannato l’Amministrazione dell’Interno a risarcire il danno al ricorrente.
L’appellato, pur ritualmente intimato, non si è costituito.
Alla pubblica udienza del 3.4.2014, udito l’Avvocato dello Stato per l’appellante, la causa è passata in decisione.
2. Quanto sopra premesso in fatto, in diritto l’appellante chiede (con unico motivo di impugnazione) la riforma in parte qua della sentenza di primo grado con riferimento alla statuizione sul danno risarcibile, deducendo che il TAR, nel riconoscere il diritto del ricorrente al risarcimento del pregiudizio economico derivante dagli illegittimi provvedimenti prefettizi, non avrebbe tenuto conto della circostanza (esposta nelle difese del Ministero resistente) che il ricorrente era stato negligente nelle difese svolte innanzi al Giudice del Lavoro.
In particolare l’Avvocatura Generale dello Stato censura la sentenza TAR, in quanto, omettendo l’esame della corrispondente argomentazione formulata in primo grado, nel caso di specie avrebbe, erroneamente, valutato sussistente il nesso eziologico tra danno e licenziamento, mentre il nesso invocato dal ricorrente sarebbe mancato: infatti al perfezionarsi del danno avrebbe contribuito in maniera decisiva la negligenza dell’interessato, che, innanzi al Giudice del Lavoro, non avrebbe rappresentato che non era maturato a suo carico il periodo di 180 giorni continuativi di carenza di porto d’armi, che (in applicazione della clausola del contratto collettivo di categoria) consentiva all’Istituto di decidere il licenziamento della guardia giurata che, nel corso del rapporto lavorativo, rimanesse priva di tale requisito, necessario per l’esercizio dell’attività di vigilanza.
Ad avviso dell’Amministrazione appellante la verifica del non compiuto periodo dei 180 giorni avrebbe consentito di escludere la responsabilità risarcitoria a suo carico, considerato che la sussistenza della medesima richiede non solo l’illegittimità del provvedimento, ma anche la prova dell’elemento soggettivo e del nesso causale, ed, inoltre, va esclusa in caso di concorso della negligenza colpevole dello stesso danneggiato.
2.1.L’appello è infondato e, pertanto, la sentenza merita conferma in toto.
In effetti nella sentenza n. 295/2007 (pubblicata il 22 ottobre 2007) il Giudice del Lavoro del Tribunale di Treviso, nel ritenere il licenziamento conforme alle norme contrattuali, afferma fra l’altro che «è incontroversa in causa, nonché documentale, la circostanza che il ricorrente fosse rimasto privo del porto d’armi per il periodo di 180 giorni».
Ma dall’esame del ricorso proposto avverso il licenziamento innanzi al Tribunale di Treviso (prodotto al T.A.R. dall’Avvocatura dello Stato) risulta che il ricorrente aveva invece contestato sotto due profili che quel periodo di 180 giorni si fosse realmente compiuto: in particolare aveva dedotto che il datore di lavoro non avesse tenuto conto né della circostanza che l’interessato era stato in malattia fin dal 17.8.2005 e che tale stato si era protratto fino al 25.1.2006 (come risulta attestato dalla certificazione INPS) né della tempestiva richiesta, e concessione, di misure cautelari di sospensione del decreto prefettizio; anzi l’interessato aveva anche inserito entrambe le ordinanze di sospensione del TAR Veneto nell’elenco dei documenti allegati al ricorso al Giudice del Lavoro di Treviso; quella del 18 gennaio 2006, come documento n. (omissis…), e quella del 25 luglio 2006, come documento n. (omissis…) (vedi elenco allegati al ricorso al Tribunale di Treviso).
2.2.Inoltre, sotto distinto ulteriore profilo, l’interessato aveva dedotto l’illegittimità del licenziamento anche per la mancata osservanza, da parte dell’Istituto di vigilanza/datore di lavoro, del dovere di valutare previamente la possibilità di reimpiegarlo in altre mansioni, che non richiedevano i requisiti venuti meno, trattandosi di impossibilità sopravvenuta della prestazione lavorativa ex art. 3 legge n. 604/1966.
2.3.Le richiamate circostanze, perciò, consentono di escludere che, nel caso di specie, vi sia stata da parte dell’interessato una condotta processuale negligente; aspetto determinante al fine di valutare la sussistenza del nesso causale tra evento di danno e fatto illecito, richiesto ai fini della configurabilità in capo al soggetto agente della responsabilità per i pregiudizi subiti dal danneggiato.
Appare, dunque, infondato l’assunto di fatto sul quale è basato l’unico argomento dedotto dall’Amministrazione, per chiedere la riforma della sentenza impugnata.
3.Per le esposte considerazioni, quindi, l’appello va respinto e, per l’effetto la sentenza TAR va confermata in toto.
Non vi è luogo a provvedere sulle spese, non essendovi stata costituzione di controparte.
PQM
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza) respinge l’appello in epigrafe e, per l’effetto, conferma in toto la sentenza impugnata.
Nulla per le spese.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 3 aprile 2014 con l’intervento dei magistrati:
Pier Giorgio Lignani, Presidente
Vittorio Stelo, Consigliere
Angelica Dell’Utri, Consigliere
Roberto Capuzzi, Consigliere
Lydia Ada Orsola Spiezia, Consigliere, Estensore
DEPOSITATA IN SEGRETERIA Il 21/08/2015
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

Cassazione civile sez. III sentenza 30/06/2015 n.13327

Nell’ipotesi di sinistro mortale occorso nell’ambito di una gara di go kart, va esclusa la responsabilità degli organizzatori allorchè sia emerso che la causa dell’accaduto andava ricercata nella condotta di uno dei partecipanti alla gara, sulla quale gli organizzatori non potevano influire, e che nemmeno la predisposizione delle diverse e più efficienti protezioni invocate dagli attori avrebbe potuto evitare l’evento.

Cassazione civile sez. III sentenza 04/05/2015 n.8893

In tema di responsabilità per cose in custodia, la colpa della vittima integra gli estremi dei caso fortuito, e la prova del caso fortuito è sufficiente per vincere la presunzione di responsabilità di cui all’art. 2051 c.c. (esclusa, nella specie, la responsabilità di un ente comunale per l’infortunio occorso ad un cittadino inciampato in una buca coperta d’acqua presente su un marciapiede; confermata la decisione del giudice del merito, secondo cui la buca era ben visibile ed integrava comportamento colposo la condotta del danneggiato idonea ad interrompere il nesso di causa tra la custodia della cosa e il danno).

Corte di Cassazione, sentenza n. 12401 del 21.05.2013

La Corte di Cassazione con la sentenza in esame ha precisato che la messa a disposizione di un parco giochi a perfetta regola d’arte da parte di un titolare di un ristorante non determina a carico di costui alcun obbligo di sorveglianza dei minori intenti all’uso delle relative attrezzature”.

Corte di Cassazione, sentenza n. 2094 del 27.1.2013

la Corte di Cassazione con la sentenza in esame ha precisato che l’ente proprietario della strada è esentato dalla responsabilità per gli infortuni occorsi lungo di essa “quando la situazione che provoca il danno si manifesta non come conseguenza di un precedente difetto di diligenza nella sorveglianza e nella manutenzione della strada ma in maniera improvvisa, atteso che solo siffatta evenienza – al pari di una eventuale colpa esclusiva del danneggiato in ordine al verificarsi del fatto – integra il caso fortuito”. Per la Suprema corte, dunque, agli enti proprietari delle strade si applica la responsabilità ex articolo 2051 Cc, “Danno cagionato da cosa in custodia”, “con riferimento alle situazioni di pericolo immanentemente connesse alla struttura o alle pertinenze della strada, essendo peraltro configurabile il caso fortuito in relazione a quelle provocate dagli stessi utenti, ovvero da un repentina e non specificamente prevedibile alterazione dello stato della cosa che, nonostante l’attività di controllo e la diligenza impiegata allo scopo di garantire un intervento tempestivo, non possa essere rimossa o segnalata, per difetto del tempo strettamente necessario a provvedere”.

Corte di Cassazione, sentenza n. 21508 del 18.10.2011

La Corte di Cassazione con la sentenza in esame ha precisato che se alla base dello sbandamento della Vespa vi sono fango, sterpaglie e sabbia dovuti alla pioggia del giorno prima, l’Anas non può invocare a sua discolpa l’impossibilità di esercitare un controllo continuo sulla rete viaria per via della sua estensione e delle modalità di uso. Per i giudici, infatti, l’evento non aveva quei caratteri di imprevedibilità e inevitabilità che fungono da scriminante. La responsabilità dell’ente, dunque, c’è e dipende “dal mancato intervento manutentivo diretto alla rimozione del fango e dei detriti dalla sede stradale”, a maggior ragione trattandosi di una importante arteria di raccordo di Catanzaro, sulla quale le piogge torrenziali del giorno prima avevano accumulato detriti senza che nessuno nelle 24 ore seguenti li rimuovesse o quantomeno segnalasse la presenza di una zona di pericolo. In definitiva per i giudici “il custode doveva ritenersi obbligato a controllare lo stato della strada ed a mantenerla in condizioni ottimali d’impiego”, essendo la pioggia un fattore di rischio “conosciuto o conoscibile a priori dal custode”.

Corte di Cassazione, sentenza n. 34402 del 20.09.2011

La Corte di Cassazione con la sentenza in esame ha precisato che in caso di emergenza il medico che presta servizio su un’ambulanza del 118 è tenuto a trasferire il paziente in una struttura adeguata anche se non ha avuto l’ok dalla centrale operativa. Non attenersi a questo principio è costato la condanna per omissione di atti d’ufficio a un medico che si era opposto al trasporto in un altro ospedale di un malato le cui condizioni erano state definite critiche da un collega del nosocomio dove l’ambulanza era parcheggiata. A sollecitare lo spostamento in un’altra struttura era stato anche l’infermiere di turno sul mezzo. Richieste a cui il camice bianco “burocrate” aveva opposto un netto rifiuto motivandolo con l’assenza di un via libera dalla centrale operativa, previsto dal modello standard del 118. Una rigidità quanto mai inopportuna visto che – come sottolineano gli stessi ermellini – al medico in servizio sull’autoambulanza è riconosciuto uno spazio di valutazione di azione e di discrezionalità funzionale a fronteggiare in maniera adeguata le situazioni di emergenza. Tra queste rientra il dovere di scegliere la struttura che è in grado di assicurare la cura più efficiente. A prescindere dal “ semaforo verde” della centrale del 118.

Corte di Cassazione, sentenza n. 17506 del 26.07.2010

La Corte di Cassazione con la sentenza in esame ha precisato che la scelta dell’avvocato di ricorrere al rito ordinario invece che procedere con decreto ingiuntivo, in caso di pagamento di prestazioni professionali di un cliente nei confronti di un terzo, può dare luogo a responsabilità professionale. Infatti, se viene provata la “facilità del soddisfacimento del credito, il legale è tenuto a risarcire il danno al cliente. Lo ha chiarito la Cassazione secondo la quale l’avvocato deve indennizzare il cliente tutte le volte in cui con il suo comportamento ha, senza motivo, allungato i tempi di soddisfacimento del credito del cliente.

Corte di Cassazione, sentenza n. 9906 del 26.04.2010

La Corte di Cassazione con la sentenza in esame ha precisato che nelle scuole materne i bambini devono essere sorvegliati anche in bagno e in caso di incidente il ministero dell’Istruzione è, tenuto al risarcimento dei danni subiti. Lo ha stabilito la Suprema corte di Cassazione che, con la sentenza in oggetto, ha respinto il ricorso del ministero dell’Istruzione sul caso accaduto in una scuola materna di Sava, in provincia di Lecce, dove una bimba di 3 anni si era fatta male nel bagno dell’asilo. Per la Cassazione la scuola e quindi il Ministero, sono sempre responsabili degli alunni e della loro sorveglianza.

Corte di Cassazione, sentenza n. 2360 del 02.02.2010

La Corte di Cassazione con la sentenza in esame ha precisato che l’omissione di una misura di sicurezza sulla rete autostradale fa scattare la responsabilità della società di gestione anche quando il sinistro si verificato per un motivo indipendente dall’omissione stessa. Per la Corte il concorso di cause preesistenti, simultanee o sopravvenute, non esclude il rapporto di causalità con l’evento, essendo quest’ultimo riconducibile a tutte, tranne nell’ipotesi in cui si accerti l’effettiva efficienza causale di una di esse. Ne consegue che una volta che ai normali utenti della strada è consentito tenere in autostrada una velocità relativamente elevata, non spiegabile come possa essere stato considerato non pericoloso un manufatto per la raccolta dell’acqua, nel quale era annegato un automobilista uscito di strada per un malore, posto a circa otto metri di distanza laterale dalla sede autostradale senza alcuna delimitazione con un guard rail.