Corte di Cassazione, sentenza n. 3184 del 18.02.2015
E’ quanto affermato dalla Corte di Cassazione, sezioni unite civili, con sentenza n. 3184, depositata il 18 febbraio 2015, rigettando il ricorso presentato dal Consiglio dell’Ordine avverso la decisione con cui il Consiglio Nazionale Forense aveva revocato – per mancanza di “sterpitus fori”- la misura cautelare della sospensione dalla professione, precedentemente irrogata ad un avvocato sottoposto a procedimento penale.
Ciò poiché secondo il CNF la valutazione discrezionale circa l’opportunità di procedere, in tal caso, alla sospensione cautelare del professionista, avrebbe dovuto essere sorretta da circostanze oggettive, atte ad integrare il clamore suscitato dalle imputazioni penali, in una dimensione di effettiva propagazione all’esterno dell’ambito giudiziale.
Dello stesso avviso si è rivelata la Corte di Cassazione, secondo cui, la sospensione cautelare di un avvocato dall’attività professionale, deve dirsi legittima solo se motivata, non solo con riferimento alla gravità delle imputazioni penali elevate a carico del professionista, ma anche con riguardo allo “strepitus fori” da accertarsi in concreto e che abbia le caratteristiche dell’attualità.
Deve pertanto escludersi, come nel caso di specie, che possa valere a sostenere la sospensione in parola uno “strepitus fori” non concreto ed attuale ma solo “ragionevolmente” previsto, ovvero, solo astrattamente collegato all’esistenza del processo penale.
Corte di Cassazione, Sezioni Unite, sentenza n. 9529 del 19.04.2013
La Corte di Cassazione con la sentenza in esame ha precisato che è corretta la sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio della professione (per due mesi e quindici giorni) a carico dell’avvocato che ha chiesto ad una cliente ammessa al patrocinio a spese dello Stato un compenso per l’attività professionale prestata successivamente all’ammissione al beneficio (in violazione degli articoli 5 e 6 del Codice deontologico forense e del disposto dell’articolo 85 del Dpr 115/2002). Loa stata deliberata l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato.
Per la Cassazione, infatti, come ricostruito dal Cnf, quando si tratta di attività professionale svolta in vista della successiva azione giudiziaria essa deve essere ricompresa nell’azione stessa ai fini della liquidazione a carico dello Stato: sicché in relazione ad essa il professionista non può chiedere il compenso al cliente ammesso al patrocinio a spese dello Stato.
Corte di Cassazione, Sezioni Unite, sentenza n. 10140 del 20.06.2012
La Corte di Cassazione con la sentenza in esame ha precisato che l’’apertura di un procedimento disciplinare contro un avvocato da parte del Consiglio territoriale non è autonomamente impugnabile davanti al Consiglio nazionale, perché non incide sullo “status” professionale del legale. Lo ha stabilito la Corte respingendo il ricorso di un avvocato di Bolzano contro cui l’ordine locale aveva avviato l’azione a seguito di una intervista rilasciata ad una radio locale in cui il professionista dipingeva la magistratura cittadina come assoggettata al potere politico ed economico locale.
Per la Corte, infatti: “L’atto di apertura del procedimento disciplinare disposto dal Consiglio disciplinare territoriale a carico di un avvocato, comunicato all’incolpato ed al Pm […] non costituisce una decisione ai sensi dell’ordinamento professionale forense, bensì un mero atto amministrativo endoprocedimentale, che non incide in maniera definitiva sul relativo status professionale e non decide su questioni pregiudiziali a garanzia del corretto svolgimento della procedura”. Ne consegue che “avendo l’atto di apertura del procedimento il solo scopo di segnarne l’avvio con l’indicazione di massima dei capi di incolpazione, esso non è autonomamente impugnabile davanti al Cnf”.
Corte di Cassazione, Sezioni Unite, sentenza n. 529 del 18.01.2012
La Corte di Cassazione con la sentenza in esame ha precisato che l’utilizzo di tecniche dilatorie nei confronti dell’avvocato della controparte in un quadro di comportamenti poco trasparenti finalizzati ad orientare in un determinato modo la soluzione della controversia è illegittimo. È dunque giustificata la sanzione della censura irrogata all’avvocato ritenuto colpevole di tali condotte.