Corte di Cassazione, sentenza n. 24362 del 30 ottobre 2013
La Corte di Cassazione con la sentenza in esame ha precisato che per decretare la responsabilità e il correlativo obbligo al risarcimento del danno dei sindaci di una azienda giunta la fallimento è necessario individuare un nesso di causalità tra il loro comportamento e il dissesto della società.
Corte di Cassazione, sentenza n. 19219 del 21.05.2012
La Corte di Cassazione, con la sentenza in esame ha precisato che il sequestro delle quote sociali non blocca la gestione della società.
In particolare, la Corte ha accolto il ricorso dell’amministratore unico di una società. Secondo la Suprema corte infatti “il sequestro civile non era diretto ad impedire la gestione della società, ma solo a imporre il vincolo sulle quote”, mentre “se il giudice civile avesse voluto impedire la gestione della società, avrebbe dovuto imporre il sequestro sull’intera azienda e non solo sulle quote”.
Corte di Cassazione, sentenza n. 45031 del 22.12.2010
La Corte di Cassazione ha precisato che deve escludersi il reato di bancarotta fraudolenta nel caso della scissione di due società se i beni non appartenevano alla “fallita”. La Corte di Cassazione nega l’esistenza di una bancarotta fradolenta impropia, anche nella forma di un’operazione dolosa, basandosi sull’impossibilità per i creditori di poter contare sulla garanzia reale rappresentata dall’immobile in questione che non rientrava nella disponibilità della Spa dichiarata fallita ma che faceva parte del patrimonio immobiliare della Società che si era scissa. Una carenza “fisica ed originaria dell’immobile” per cui non è possibili ipotizzare alcuna distrazione di beni e quindi alcun reato.
Corte di Cassazione, sentenza n. 20597 del 04.10.2010
La Corte di Cassazione con la sentenza in esame ha precisato che è nulla la delibera societaria di approvazione di una fideiussione a favore di una società collegata, in stato di crisi, anche se approvata all’unanimità. Lo ha affermato la Cassazione con la sentenza in oggetto secondo la quale la delibera è illegittima in quanto autorizza un atto estraneo all’oggetto sociale e, soprattutto, destabilizza il capitale societario in favore di un terzo.
Corte di Cassazione sentenza n. n. 28699 del 21.07.2010
La Corte di Cassazione con la sentenza in esame ha precisato che la natura pubblicistica di un ente è condizione necessaria, ma non sufficiente, per esonerarlo dalla responsabilità da reato ex d. lgs. n. 231 del 2001, dovendo altresì concorrere la condizione che lo stesso ente non svolga attività economica. Conseguentemente i giudici di legittimità hanno riconosciuto la configurabilità della suddetta responsabilità nei confronti di un ente ospedaliero costituito come società a capitale misto, pubblico e privato.
Corte di Cassazione, sentenza n. 28699 del 21.07.2010
La Corte di Cassazione con la sentenza in esame ha precisato che la natura pubblica di una società non la esonera da responsabilità amministrativa se l’ente svolge attività economica. La corte di cassazione, con la sentenzain oggetto, specifica che alla responsabilità amminsitrativa sono sottratti solo la Stato, gli enti pubblici territoriali, gli enti che svolgono funzioni di rilievo costituzionale e gli altri enti pubblici non economici. Non sfuggono dunque alle norme in questione gli ospedali specilizzati interregionali che abbiano le caratteristiche dell’istituto oggetto della causa. Siano ovvero delle Spa “miste” in quanto partecipate al 49% da capitale privato e per il resto pubblico. Gli ermellini sottolineano, infatti, che la natura pubblicistica di un ente è condizione sufficiente ma non necessaria, per l’esonero dalla disciplina amministrativa serve infatti l’assenza di un’attività economica.Se così non fosse – conclude il collegio – la responsabilità sarebbe esclusa per un numero illimitato di enti: dall’informazione all’igene del lavoro, dall’istruzione alla sicurezza infortunistica. Tutti valori e non “funzioni” di rango costituzionale.
Corte di Cassazione, sentenza n. 6175 del 15.03.2010
La Corte di Cassazione con la sentenza in esame ha precisato che la semplice sottoscrizione di un contratto preliminare di acquisto di quote di una società non può presumere la creazione di una società di fatto tra le stesse persone nelle more della stipula del rogito. Ne consegue che nel caso in cui il promittete acquirente delle quote contragga un mutuo di questo non possono essere chiamati a rispondere i “futuri soci” in qualità di soci di fatto. Per la Corte la società di fatto presuppone l’eistenza di un contratto sociale la cui esistenza, in assenza di atto scritto, va accertata in base all’affectio societatis, alla costituzione di un fondo comune e allo svolgimento dell’attività. Tutti elementi che, ha affermato la Cassazione, non possono essere desunti dal semplice preliminare che, anzi, lascia intendere l’opposto.
Corte di Cassazione, Sezioni Unite sentenza n. 4062 del 22.02.2010
La Corte di Cassazione con la sentenza in esame ha precisato che l’iscrizione della cancellazione della società di capitali nel Registro delle Imprese, determina, dal 1 gennaio 2004, data di entrata in vigore della modifica normativa apportata all’art. 2495 c.c., l’estinzione della società Dalla stessa data, per le società di persone, esclusa la efficacia costitutiva della cancellazione iscritta nel registro, può fermarsi la efficacia dichiarativa della pubblicità della cessazione dell’attività di impresa collettiva, opponibile dal 1 luglio 2004 ai creditori che agiscano contro i soci, ex artt. 2312 e 2324 c.c., norme in base alle quali si giunge ad una presunzione del venir meno della capacità legittimazione di esse anche se perdurino rapporti o azioni in cui le stesse società sono parti. La natura costitutiva riconosciuta per legge a decorrere dal 1 gennaio 2004 degli effetti delle cancellazioni già iscritte e di quelle future per le società di capitali che con esse si estinguono, comporta, anche per quelle di persone, che, a garanzia della parità di trattamento dei terzi creditori di entrambi i tipi di società si abbia una vicenda estintiva analoga con la fine della vita di queste contestuale alla pubblicità la quale resta dichiarativa degli effetti da desumere dall’insieme delle norme pregresse e di quelle novellate che, per analogia juris determinano una interpretazione nuova della disciplina pregressa della società di persone
Corte di Cassazione, sentenza n. 12044 del 25.05.2009
La Suprema Corte di Cassazione con la sentenza in esame si pronunciata in ordine ad un’operazione di lease back infragruppo, affermando la liceita` della stessa quando venga utilizzata per lo storno della fattura emessa da una societa` nei confronti di un’altra. L’operazione di lease back, precisa quindi la Corte, non e` elusiva a prescindere in quanto deve essere sempre dimostrato che venga fatta con l’unico scopo del risparmio d’imposta.
Corte di Cassazione, sentenza n. 12042 del 25.05.2009
La Suprema Corte con la sentenza in esame, ha riconosciuto come elusiva una condotta con la quale erano stati accollati ad una societa` del gruppo, attraverso una cessione del ramo d’azienda, i debiti di natura finanziaria. Per la Corte, inoltre, e` fondata la domanda della societa` di disapplicazione delle sanzioni in presenza di obiettive condizioni di incertezza sulla portata della norma sanzionatoria, nel cui ambito di applicazione e` riconducibile la violazione di un principio di origine generale, come l’abuso del diritto. Tale ultimo principio, proprio quale norma generale – conclude la Corte – puo` essere applicato anche in caso di operazione elusive dell’imposta di registro e non solo in materia di imposte sui redditi.
Corte di Cassazione, sentenza n. 11659 del 20.05.2009
La Suprema Corte con la sentenza in esame ha precisato che commette abuso di diritto chi effettua compravendite di titoli azionari con la sola finalità di risparmio di imposta. La Corte ha infatti precisato che illusione svendere le azioni all’interno del gruppo societario, pagate al valore di mercato e rivendute a quello nominale. Quindi per bocciare un’operazione di vendita di titoli azionari, perché illusiva, è necessario non soltanto guardare al valore nominale ma va accertato, nel complesso, se l’unico scopo della strategia aziendale legato al risparmio di imposta.
Corte di Cassazione, sentenza n. 17744 del 27.04.2009
La Suprema Corte con la sentenza in esame ha precisato che non è punibile il dipendente che divulga i segreti aziendali come ad esempio attività della società le pianificazioni pubblicitarie, le relazioni per i clienti ed i preventivi, a meno che l’impresa non riesca a dimostrare che il flusso di informazioni alla concorrenza ha causato un danno concreto.
Corte di Cassazione, sentenza n. 16312 del 17.04.2009
La Suprema Corte con la sentenza in esame ha affermato che i versamenti in banca dell’imprenditore accusato di dichiarazione infedele, sono una prova sufficiente per calcolare la soglia minima di punibilità 100mila euro) richiesta dalle norme ai fini della condanna. Con tale principio la Corte ha confermato la condanna a un anno e due mesi di reclusione nei confronti di un imprenditore che aveva fatto dei versamenti in banca per oltre 500mila euro e aveva dichiarato molto di meno.