È minaccia mimare lo sgozzamento tra ex amici?

Il caso

Un uomo provocava un consistente danno all’autovettura di un amico causando la rottura del loro rapporto di amicizia.

Incontratisi dopo un po’ di tempo l’uomo porge all’ex amico degli auguri pasquali che però vengono rifiutati scatenando una reazione violenta nell’uomo che dopo aver lanciato contro l’ex amico una bicicletta lo minaccia di morte mimando uno sgozzamento con le dita sulla gola.

La Corte d’Appello di Trento concordava con la decisione del Tribunale di Trento e condannava l’uomo a sette mesi di reclusione, oltre al risarcimento dei danni, per i reati di minaccia aggravata e lesioni.

Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione l’imputato lamentando tra gli altri motivi l’esistenza di un contrasto nella giurisprudenza di legittimità relativamente alla ritenuta sussistenza del delitto di minaccia aggravata.

I Giudici di terzo grado hanno sempre dato rilievo, contemporaneamente, “al contesto ed agli stati soggettivi di autore della minaccia e vittima”, nella misura in cui soprattutto questi ultimi risultino necessari ad accertare il grado della minaccia, perché contestata come ‘grave’”. 

Con la valutazione oggettiva “del tenore delle espressioni verbali pronunciate e del contesto nel quale esse si collocano”, invece, la giurisprudenza tenta di “offrire una lettura oggettivizzante della fattispecie di minaccia” evitando di “fondarsi sulle percezioni soggettive della vittima” e ancorandosi “all’idoneità ex ante in concreto della condotta attuata dall’agente a costituire in sé un’effettiva minaccia per la persona offesa”.

Nella vicenda di specie, la Corte ha spiegato che “l’imputato, nel contesto immediatamente precedente al momento in cui ha mimato il gesto ritenuto minaccioso, era visibilmente pervaso da accesa animosità ed alterato grandemente”. Un teste ha riferito di “averlo anche sentito minacciare di bruciare l’auto della persona offesa”.

La Suprema Corte conferma quindi la lettura che la Corte d’Appello ha correttamente tratto: l’”aver indirizzato alla vittima un segno inequivocabile del proprio forte astio”, a simulare uno “sgozzamento”, costituisce, con ragioni del tutto logiche e plausibili, una condotta di minaccia.

Con la sentenza n. 25497/21 del 5 luglio la Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.